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Usa 2012. Come sono andate le primarie in South Carolina

di Antonio Caputo

Terza tappa delle primarie presidenziali americane: erano chiamati al voto i soli Repubblicani; non i Democratici per i quali l’appuntamento è tra qualche settimana. Caucus e primarie, infatti, non sempre si tengono insieme, essendo disciplinate da un mix di regole, fissate dalla legislazione dei singoli Stati, dal partito statale, e dal partito federale (come quattro anni fa, quando i partiti nazionali punirono, dimezzando il numero di delegati loro attribuiti, gli Stati di Michigan e Florida, che avevano anticipato le primarie, svolgendole assieme agli Stati che tradizionalmente aprono la corsa: Iowa, New Hampshire, South Carolina e Nevada).
I risultati: risorgendo dalle proprie ceneri, dopo i disastrosi esiti di Iowa e New Hampshire, l’ex Speaker della Camera, Newt Gingrich, si impone, con un perentorio 40%, ben al di là delle previsioni della vigilia, che pure lo davano probabile vincitore. Netta sconfitta per Mitt Romney, fermo al 28%, il quale conferma una volta di più il disamore nei suoi confronti della base repubblicana, soprattutto tra i protestanti evangelici, divisisi, in quest’appuntamento elettorale, tra due cattolici, il conservatore Santorum, al 17% e appunto Gingrich, ex battista, da qualche anno convertitosi alla Chiesa di Roma. Gingrich, va detto, giocava in casa, essendo egli della confinante Georgia (da qualche anno trasferitosi, peraltro, nella vicina Virginia).
Quarto posto col 13% per il libertario texano Ron Paul, che dalla parti di Columbia e dintorni giocava in trasferta, e che porta a casa un risultato che non lo pone ancora fuori dai giochi, non tanto per la nomination, quanto per il ruolo che potrà svolgere nel prosieguo di questa corsa sempre più incerta.
Per Romney è la terza mazzata in pochi giorni: dapprima la storia dei fondi nei paradisi fiscali, che lo fa crollare nei sondaggi; quasi contemporaneamente il Caucus repubblicano in Iowa dà notizia dei risultati definitivi, che ribaltano quelli del 4 gennaio: a vincere per 34 voti è stato Santorum, non Romney, (in pratica poco cambia: i delegati in Iowa si assegnano col proporzionale, con sbarramento al 10%: il 24.5 o 24.6% non fa granché differenza; la fa eccome, invece, dal punto di vista psicologico); infine, la sconfitta della notte scorsa, con un distacco del 12.5% e una nomination, verso cui l’ex governatore del Massachusetts sembrava saldamente avviato dopo la vittoria di dieci giorni fa in New Hampshire, tornata pericolosamente in bilico.
I risultati in South Carolina mettono in luce l’estremismo della base repubblicana, col moderato Romney surclassato dall’estremista Gingrich, riportano le lancette indietro di 15-20 anni, quando, durante il mandato di Bill Clinton, fu proprio il vincitore delle odierne primarie a porsi come il maggior competitor dell’allora presidente.
Clinton infatti, vinte le elezioni del 1992, ebbe un avvio di mandato non certo sfolgorante, tra spinte a sinistra (riforma sanitaria) e marce indietro, con oscillazioni non proprio ben viste dall’opinione pubblica. Dopo i primi due anni incolori, i Democratici subirono una batosta alle elezioni di mid term nel 1994, con la riconquista repubblicana di numerosi governatori, del Senato, dopo otto anni, e della Camera, dopo ben 40 anni, dove, da leader del Partito in Assemblea, Newt Gingrich fu issato a presidente (speaker) della stessa Assemblea.
Gingrich interpretò il suo ruolo come quello di un primo ministro in coabitazione di una repubblica semi presidenziale, con un’ostilità e una contrapposizione estremiste verso Clinton, come se i risultati delle mid term fossero state un investimento dell’elettorato sui Repubblicani, più che (com’era in effetti) un no alle scelte (compiute o avviate) dall’Amministrazione democratica, riforma sanitaria su tutte (gli anni passano, le tematiche restano).
Un errore di prospettiva gigantesco che rese inviso all’opinione pubblica l’atteggiamento estremista dei Repubblicani, umiliati da Clinton nel 1996, alla sua conferma come presidente. Non paghi della sconfitta, (solo presidenziale: il Congresso anche nel 1996 confermò, pur ridimensionandola, la maggioranza repubblicana) Gingrich e i suoi diedero il peggio di sé nel biennio successivo, quando cavalcarono la crociata moralista contro le scappatelle di Clinton, con un crescendo rossiniano fino alle mid term del 1998, quando, stancata dalla campagna martellante ed ossessiva contro un presidente visto come fautore del boom economico in corso (erano gli anni della bolla della new economy), gli elettori punirono i Repubblicani. Solo la sconfitta del 1998 fece abbassare la cresta a Gingrich, tornato ora alla carica.
Commettere l’errore del 1995/96 sarebbe deleterio per i Repubblicani, ma l’estremismo della loro base li porterà con ogni probabilità a ricadere di nuovo nell’illusione di 15 anni fa. Se davvero il risultato odierno porterà Gingrich alla nomination, Obama potrà dormire sonni tranquilli: il vincitore della notte scorsa è l’unico candidato cui Obama infliggerebbe un distacco superiore ai 10 punti percentuali; persino l’ultraconservatore Santorum è quotato meglio di Gingrich nello scontro a due con l’attuale presidente, che sembra divenire ogni giorno di più il vero vincitore della sfida tra i litiganti Repubblicani.

 

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