La “dissociazione bersaniana” dal governo
Il Partito democratico non è più sostenitore accanito del governo. La nuova linea è stata “varata” nei giorni scorsi con gli interventi del segretario Bersani contro le “prese in giro”, che tradotto sono le nomine Rai e l’approvazione della responsabilità civile dei magistrati.
La posizione del Pd è maturata per due motivi: il primo è la presa di coscienza che l’esecutivo tecnico sta approvando misure da “destra liberale”, come ha annotato anche Italo Bocchino di Fli. Un ammodernamento che quindi non è propriamente aderente alle idee dei democrat. In secondo luogo, Bersani e la sua segreteria iniziano a guardare con un po’ di preoccupazione ai successi conseguiti da Monti in poco tempo: il Time lancia il presidente del Consiglio in prima pagina e lo definisce il potenziale salvatore dell’Europa, lo spread Btp/Bund scende e il gradimento dei cittadini aumenta, nonostante misure pesanti come la manovra. Dopo tre mesi il professore è riuscito a costruire un miracolo con tanto di applausi sulla scena internazionale.
Il rischio per i vertici di Largo del Nazareno è che Monti, alla fine della legislatura, possa mettersi alla guida di una coalizione sull’onda dei risultati ottenuti in un anno e mezzo. O in alternativa può cedere la titolarità della leadership a uno dei suoi ministri più in vista, per esempio Corrado Passera. Per di più gli elettori moderati di centrosinistra potrebbero rivedersi in misura maggiore con le idee dei professori rispetto alle posizioni del Pd. Un disastro perfetto per Bersani.
Il segretario dei democratici ha quindi inaugurato una strategia comunicativa di “periodica dissociazione” dai provvedimenti del governo: l’obiettivo è di garantire sostegno nei numeri, sviluppando allo stesso tempo una critica dell’elettorato di centrosinistra verso l’esecutivo. Per tale ragione è finita la fase dell’elogio facile: si entra ora nell’era della valorizzazione identitaria del partito; che è indicato sempre come il favorito alle prossime elezioni.