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Coesione sociale e quadro socio-demografico

Pubblichiamo di seguito la sintesi del secondo Rapporto sulla Coesione sociale a cura dell'Inps, dell'Istat e del Ministero del lavoro.

Quadro socio-demografico e proiezioni

Al 1° gennaio 2011 sono 60 milioni e 626mila i residenti in Italia, 286mila in più dell’anno precedente. L’incremento della popolazione è dovuto al saldo attivo del movimento migratorio con l’estero (+6,3 per mille), che compensa l’effetto negativo del saldo naturale. Il saldo complessivo è del +4,7 per mille.
Gli stranieri residenti nel nostro Paese sono 4 milioni e 570 mila (+335 mila rispetto all’anno precedente) e costituiscono circa l’8% della popolazione. Le cittadinanze straniere maggiormente rappresentate (sempre al 1° gennaio 2011) sono quella romena (969 mila residenti), la comunità albanese (483 mila residenti) e quella marocchina (452 mila residenti).

Nel 2010 sono stati iscritti in Anagrafe circa 562 mila nati. Un bambino su quattro (25,4%) è nato al di fuori del matrimonio, il doppio di quanti erano dieci anni prima. Ogni 100 nati iscritti in Anagrafe nel 2009, 18 hanno almeno un genitore straniero; di questi, 14 hanno i genitori entrambi stranieri.
Il numero medio di figli per donna si attesta a 1,41, con valori pari a 2,23 per le donne straniere e a 1,31 per quelle italiane.

In Italia sono stati celebrati circa 231 mila matrimoni (anno 2009), 16 mila in meno rispetto all’anno precedente; si conferma quindi il trend discendente degli ultimi anni. Crescono, invece, i matrimoni celebrati con rito civile, i quali sono ormai più di un terzo del totale (37,2%), triplicati rispetto al 1980.

Ci si sposa di meno e sempre più tardi: l’età media al primo matrimonio è di 33,1 anni per gli uomini e di 30,1 anni per le donne (anno 2009), con uno spostamento in avanti di circa 6 anni rispetto al 1980.

Nel 2009 le separazioni legali sono state circa 86 mila (+2,1% rispetto a un anno prima) e i divorzi 54 mila (+0,2%). L’instabilità coniugale è in continua crescita: nel 1980 ogni 1.000 matrimoni si registravano 91 separazioni e 37 divorzi, nel 2009 se ne contano rispettivamente 373 e 236.

Continua ad aumentare anche l’aspettativa di vita della popolazione italiana, pari a 79,2 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne, con un guadagno rispettivamente di circa nove e sette anni in confronto a trent’anni prima. Il trend è crescente anche per le persone in età avanzata: un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,4 anni, un ottantenne altri 8,4 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l’area del Paese più longeva è quella del Centro nord.
I bassi livelli di fecondità, congiuntamente al notevole aumento della sopravvivenza, rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo. Al 1 gennaio 2011 si registrano 144,5 anziani ogni 100 giovani. E’ un trend destinato a crescere: secondo le previsioni attuali, nel 2050 ci saranno 256 anziani ogni 100 giovani.

L’indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione fino a 14 anni) è passato da 111,6 nel 1995 a 144,5 nel 2011. Questa tendenza proseguirà anche nei prossimi anni: secondo le stime, l’indice sarà pari a 205,3 nel 2030, a 256,3 nel 2050. Il Sud (Isole escluse) si conferma l’area territoriale più giovane del Paese: l’indice di vecchiaia è pari a 119,3, rispetto a 158,5 del Nord-ovest e 160,4 del Centro.

Cresce anche l’indice di dipendenza, misurato dal rapporto percentuale fra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 e più) e quella in età attiva (15-64 anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del 2011. Nel 2050 questo rapporto dovrebbe salire a 84,7.

Mercato del lavoro

Nel secondo trimestre 2011 gli occupati sono 23 milioni 94mila, lo 0,4% in più dello stesso trimestre del 2010 (+87 mila unità). L’incremento riguarda esclusivamente la componente femminile. Il tasso di occupazione (15-64 anni) rimane stabile su base annua al 57,3%, dopo dieci trimestri consecutivi di flessione e il lieve incremento registrato nel trimestre precedente.

Sempre nel secondo trimestre 2011 il numero dei disoccupati è pari a 1 milione 947mila unità. Il tasso di disoccupazione è al 7,8% (+0,5 punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2010), quello giovanile (15-24 anni) si attesta invece al 27,4%, raggiungendo il 44% se riferito alle donne del Mezzogiorno. Continua a crescere la popolazione che non cerca lavoro né è disponibile a lavorare. Il tasso di inattività si porta al 37,9%, quattro decimi di punto in più rispetto a un anno prima.

Nel 2010, gli occupati a tempo determinato sono 2 milioni 182 mila, il 12,8% dei lavoratori dipendenti. Si tratta in gran parte di giovani e donne. Gli occupati part-time sono invece 3 milioni 437mila, il 15% dell’occupazione complessiva. Anche in quest’ultimo caso prevale nettamente la componente femminile.

Sempre nel 2010, la retribuzione mensile netta è di 1.286 euro per i lavoratori italiani e di 973 euro per gli stranieri. In media gli uomini italiani percepiscono una retribuzione più elevata (1.407 euro) rispetto alle italiane (1.131 euro); il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.118 euro e le donne soltanto 788 euro.

Nel primo semestre 2011 sono stati attivati oltre 5 milioni 325 mila rapporti di lavoro dipendente o parasubordinato. Il 67,7% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a tempo determinato, il 19% con contratti a tempo indeterminato e l’8,6% con contratti di collaborazione. I rapporti di apprendistato sono stati appena il 3% del totale.

Sempre nel primo semestre 2011 circa 687 mila rapporti di lavoro hanno avuto la durata di un giorno (supplenze nelle scuole e addetti ai pubblici esercizi).

Il numero medio di contratti di lavoro per lavoratore, dato dal rapporto tra le assunzioni registrate e i lavoratori interessati che, nel primo semestre 2011, è stato pari a 1,46. Questo rapporto indica quanti rapporti di lavoro precari hanno interessato uno stesso lavoratore.

Occupati contribuenti Inps

Lavoratori dipendenti

Nel “pianeta” del lavoro dipendente si contano nel 2011 (media primo semestre) 12 milioni 425mila occupati (anche agricoli e domestici), circa 5mila in più rispetto all’anno precedente. La sostanziale stabilità registrata in media nazionale sottende andamenti differenziati sul territorio. Il numero di lavoratori dipendenti aumenta di poco nel Nord Ovest (+0,7%) e nel Nord Est (+0,5%), mentre registra variazioni negative nel Sud e nelle Isole (-1,4%).

Nel dettaglio regionale la Lombardia, una delle regioni in cui il lavoro dipendente si concentra di più – in media 2 milioni 748 mila dipendenti, il 22,1% del totale (dati 2011) – presenta la crescita su base annua più accentuata (+1%). La Campania, altra regione con molti lavoratori dipendenti, oltre 732 mila, fa registrare il calo più forte (-1,4%).

Guardando l’età e il sesso dei lavoratori dipendenti si scopre che negli ultimi quattro anni (2007-2011) si è assottigliata la quota di lavoratori dipendenti under30, dal 21,4% al 17,6%, mentre è cresciuto il peso relativo della quota femminile, dal 39,6% al 41,2%.
In crescita è il numero di dipendenti quadri (+1,8%) e quello di impiegati e dirigenti (+0,9%), in diminuzione quello degli apprendisti (-6%) e degli operai (-0,2%) (dati 1° semestre 2011).

Il numero di dipendenti con contratto a tempo indeterminato risulta in discesa (-0,5%), attestandosi a quota 10 milioni 563mila. Il calo è molto più marcato per i lavoratori sotto i 30 anni (-7,9%). Le donne con un lavoro standard sono oltre 4 milioni 193mila, in crescita dello 0,5% rispetto al 2010, mentre i colleghi maschi (più di 6 milioni 369mila) sperimentano una flessione dell’1,1%.

Il lavoro a tempo parziale riguarda in prevalenza l’universo femminile: nelle forme tipiche di part time, orizzontale verticale e misto, le donne rappresentano, nel 2011, rispettivamente il 74,2%, il 70,3% e il 76,7% dei lavoratori con contratto a orario ridotto.

Lavoratori autonomi

Nel 2010, sono un milione 864 mila gli Artigiani iscritti alla gestione speciale dell’Inps, 12mila in meno dell’anno precedente (-0,7%). Di questi, tre su dieci (31,6%) hanno svolto l’attività nel Nord Ovest, il 25% nel Nord Est, il 20,6% nelle regioni del Centro; il 15,2% è attivo al Sud, il rimanente 7,7% nelle Isole.

Gli Artigiani sono titolari di azienda nel 91,7% dei casi; nel rimanente 8,3% sono collaboratori familiari. La componente maschile è assolutamente dominante (’81%), mentre dal profilo sull’età emerge che la classe più numerosa è quella dei 30-59enni, dove si trova il 70% degli artigiani; un terzo si colloca, invece, nella fascia di età 40-49 anni. Gli under30 sono appena il 7,6%, gli ultrasessantenni il 12,4%.

I Commercianti iscritti alla gestione speciale dell’Inps sono due milioni 101 mila, l’1,2% in più del 2009. Il 27,5% ha localizzato la propria attività commerciale nel Nord Ovest, il 21,8% lavora al Sud, il 20,7% nel Nord Est, mentre il 20,7% e il 9,3% sono attivi nel Centro e nelle Isole. La “quota rosa” è pari al 36,5%. Nella stragrande maggioranza dei casi (89,1%) i commercianti iscritti alla gestione sono titolari di azienda, il 10,9% è collaboratore familiare.

Nel 2010, i Coltivatori diretti, coloni e mezzadri e imprenditori agricoli professionali dell’Inps ammontano a 468mila unità, in calo dell’1,4% rispetto al 2009. Sul territorio la percentuale più alta di lavoratori agricoli, l’11,5%, si registra in Piemonte. Quanto al genere, la quota maschile prevale nettamente, 63,5% contro 36,5% delle donne.

I contribuenti Parasubordinati (con almeno un versamento nell’anno) sono 1,7 milioni, dei quali 1,4 milioni (85%) collaboratori e poco più di 250mila (15%) professionisti. Ancora una volta la componente maschile è preponderante (58,7%, pari a circa 995 mila) su quella femminile (41,3%, circa 700 mila). Rispetto all’anno precedente, il numero dei collaboratori fa registrare un calo dell’1,7% mentre risulta in aumento del 3,2% quello dei professionisti. I lavoratori parasubordinati si concentrano nelle regioni del Nord (55,4%) e, in misura molto più contenuta, al Centro (25,9%) al Sud (12,5%) e nelle Isole (6,2%). L’età media dei contribuenti si attesta su 42,2 anni (45,0 anni per i maschi e 38,3 anni per le femmine).

Retribuzioni contribuenti Inps

Nel 2010, la retribuzione media giornaliera dei lavoratori dipendenti (esclusi i domestici) con almeno una giornata retribuita nell’anno è di 84,40 euro, in aumento di circa il 2% rispetto al 2009. A livello territoriale (estero a parte), è nel Nord-ovest che si registra il livello più alto di retribuzione media giornaliera, pari a 92 euro, con il picco di 95,40 euro della Lombardia. I valori più bassi sono invece quelli delle Isole (71,40 euro) e del Sud (72,40 euro) con la Calabria fanalino di coda (68 euro).

Le retribuzioni medie giornaliere risultano molto più differenziate in base all’età dei lavoratori. I valori sono inferiori ai 60 euro al giorno per i dipendenti sotto i 20 anni (44,70 euro) e per quelli 20-24enni (54,80 euro), mentre superano i 100 euro giornalieri per i 50-54enni (101,40 euro) e per i lavoratori fra i 55 e i 59 anni (108,10 euro).

Come è facile prevedere, la retribuzione dipende molto dalla qualifica lavorativa (escludendo quelle dirigenziali e particolari); gli apprendisti guadagnano in media 52 euro al giorno, gli operai 67,70 euro, gli impiegati 89,40 euro, i quadri raggiungono quota 193,60 euro.

Il divario di genere è piuttosto accentuato, con retribuzioni medie giornaliere per gli uomini pari, nel 2010, a 95,30 euro, contro i 68,40 euro di quelle corrisposte alle donne.

Capitale umano

Nel 2010, la quota di giovani 18-24enni che hanno abbandonano prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione è pari al 18,8%. Si tratta di un valore nettamente superiore a quello dell’Unione Europea a 25 paesi (13,9%) e ancora lontano dall’obiettivo stabilito dalla Strategia Europa 2020 della Commissione Europea, che intende portare gli abbandoni sotto la soglia del 10%.

Sebbene più contenuto nei valori assoluti, l’abbandono prematuro degli studi è relativamente più frequente nella popolazione straniera (43,8% contro il 16,4% di quella italiana). Il divario risulta ancora più accentuato per la componente femminile: abbandona gli studi il 42,1% delle giovani straniere contro il 12,7% di quelle italiane.

Nel Mezzogiorno, dei circa 400mila giovani fuori dagli studi, appena il 31,9% è occupato (contro il 43,8% della media nazionale e il 57,9% nel Nord-est), mentre il 49,3% risulta inattivo.

C’è un forte legame tra l’abbandono degli studi da parte dei giovani e il grado di istruzione dei genitori. Appena il 2% dei figli di genitori laureati lascia gli studi, contro il 25,2% dei figli di genitori con licenza media e il 44,4% dei figli di genitori in possesso della licenza elementare.

Conciliazione tempo di lavoro e cura della famiglia

Nonostante il miglioramento avvenuto negli ultimi anni, le donne continuano ad avere maggiori difficoltà a conciliare i tempi di lavoro e di cura della famiglia: in media, giornalmente, guardando all’insieme del lavoro e delle attività di cura, la donna lavora 1 ora e 3 minuti in più del suo partner quando entrambi sono occupati (9 ore e 9 minuti di lavoro totale per le donne contro le 8 ore e 6 minuti degli uomini). Per le coppie con figli il divario di tempo sale a 1 ora e 15 minuti (Anni 2008-2009).

L’indice di asimmetria del lavoro familiare – ossia quanta parte del tempo dedicato al lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi è svolta dalle donne – indica che il 71,3% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne.

Nelle coppie con entrambi i partner occupati, il maggior grado di asimmetria si osserva tra le coppie con figli residenti nel Mezzogiorno (74,6%), in quelle in cui l’età del figlio più piccolo supera i 14 anni (74,6%) e quelle in cui la donna ha un titolo di studio basso (72,2% nel caso di licenza elementare o media).

Le donne, in particolare quelle occupate, sono penalizzate anche per il tempo libero. Il gap di genere si riduce nel tempo, ma resta a livelli elevati: gli uomini dispongono di 59 minuti in più di tempo libero rispetto alle donne, venti anni fa la differenza era di 1 ora e 14 minuti.

Povertà, deprivazione, esclusione sociale

Nel 2010, in Italia, le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 734 mila (l’11% delle famiglie residenti), corrispondenti a 8 milioni 272 mila individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione.

Il 10,2% delle persone vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove cioè meno del 20% del tempo teoricamente disponibile è impiegato in attività lavorative. Questo dato si spiega anche con la prolungata convivenza con i genitori dei giovani 18-34enni in cerca di occupazione.

Nel corso degli anni, la condizione di povertà è peggiorata per le famiglie numerose, soprattutto per quelle con figli minori e residenti nel Mezzogiorno, per le famiglie dove convivono più generazioni e per quelle con un solo genitore.

Nel 2010, l’incidenza della povertà relativa raggiunge il 28% fra i minorenni se questi vivono con i genitori e almeno due fratelli (è al 10,7% se si fa riferimento alla povertà assoluta), mentre supera il 33% (11,8% nel caso della povertà assoluta) se vivono in famiglie con membri aggregati.

La povertà relativa mostra i più evidenti segnali di miglioramento fra gli anziani. Tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà relativa non scende al di sotto del 26% (7% per la povertà assoluta).

Guardando all’Europa, i quattro paesi meridionali (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia), insieme al Regno Unito, sono quelli caratterizzati dal maggior grado di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nell’Europa a 15. In base al rapporto fra la quota di reddito del 20 percento più ricco e quella del 20 percento più povero della popolazione, nel 2010 i paesi con la minore diseguaglianza nell’Europa a 15 sono i Paesi Bassi, l’Austria, la Finlandia e la Svezia.

I dati relativi al rischio di povertà monetario non necessariamente si riflettono in situazioni di estremo disagio economico. Nel 2010, i paesi dell’Unione Europea a 15 che mostrano i tassi più preoccupanti di grave deprivazione materiale sono la Grecia (11,6%), il Portogallo (9,0%) e l’Italia (6,9%); diversamente, in Finlandia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Lussemburgo la percentuale di persone coinvolte in situazioni di disagio economico grave è inferiore al 3%.

L’indicatore sintetico “Europa 2020”, che considera le persone che sono a rischio di povertà oppure di esclusione sociale (perché vivono in famiglie materialmente deprivate o a bassa intensità lavorativa), nel 2010 è superiore al 22% in sei paesi dell’Europa a 15 (Grecia, Portogallo, Italia, Spagna e Regno Unito). Risulta più contenuto nei paesi scandinavi in Austria e nei Paesi Bassi.

In Italia, il rischio di povertà o di esclusione sociale è relativamente maggiore per le famiglie con tre o più figli, soprattutto se minori, e per quelle monogenitori. La situazione delle coppie con figli non tutti minori appare più o meno critica in relazione alla partecipazione al mercato del lavoro di almeno due percettori di reddito.

Politiche di sostegno al reddito

Maternità

Nel 2010, sono circa 380mila le lavoratrici dipendenti che hanno beneficiato dell’astensione obbligatoria per maternità. Fra le neo-mamme, il 91% ha un contratto a tempo indeterminato (e vive al Nord nel 58% dei casi), il 9% a tempo determinato (di cui il 52% concentrato nel Sud e Isole).

Ammontano a 286mila i lavoratori dipendenti che hanno usufruito di congedi parentali (astensione facoltativa) nel 2010. Di questi, il 93,5% ha un contratto a tempo indeterminato (nel Nord si concentra il 67% dei congedi parentali con contratti a tempo indeterminato). Fra i lavoratori che hanno goduto dei congedi parentali pur non avendo il posto fisso (6,5%), quasi i tre quarti (74%) sono concentrati al Sud e nelle Isole.

I congedi parentali sono ancora poco utilizzati dai padri. Basti pensare che ne ha usufruito appena il 10% dei lavoratori dipendenti, mentre, fra gli autonomi, le beneficiarie sono esclusivamente donne (100%).

Politiche attive

Sono gli uomini a fruire maggiormente delle misure di politiche attive del lavoro. Fanno eccezione le agevolazioni per sostituzione di astensione obbligatoria, il lavoro a chiamata o intermittente e i contratti di inserimento, per le quali sono di più le donne a beneficiarne.

Sotto il profilo territoriale, le misure di politiche attive del lavoro trovano applicazione soprattutto al Nord. Ci si riferisce, in particolare, a quelle che riguardano assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria (circa il 70% è concentrato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), al lavoro somministrato (più del 40% è nel Nord-ovest) e al lavoro intermittente o a chiamata (circa il 40% è nel Nord-est).

Altre misure, invece, sono più diffuse nel Sud della Penisola: si tratta, in particolare, delle assunzioni agevolate di disoccupati, dei beneficiari di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) da almeno 24 mesi, di giovani già impegnati in borse di lavoro (concentrati per il 50% al Sud, specie in Campania, e per il 30% nelle Isole, soprattutto in Sicilia) e di contratti di inserimento (che vengono sottoscritti in questa area del Paese nel 41% dei casi).

Tra le politiche di più recente istituzione, particolarmente utilizzate risultano quelle che riguardano il Lavoro intermittente o a chiamata (+44,3% nel 1° semestre 2011 rispetto all’anno precedente). Questo contratto viene applicato in larga parte agli operai.

Disoccupazione

Il numero medio di beneficiari dei sussidi di disoccupazione non agricola con requisiti ordinari e speciale edile ha mostrato un notevole incremento nel 2009 (+66,9% rispetto all’anno precedente). L’aumento dei beneficiari rallenta nel periodo successivo, attestandosi a +9,3% nel 2010 e a +3,4% nei primi sei mesi del 2011. L’incremento del numero medio di beneficiari ha riguardato progressivamente di più gli uomini, che erano il 49,5% del totale nel 2008 e sono il 54,4% nel 1° semestre 2011.

A sei mesi dall’entrata in disoccupazione, in media un disoccupato su due trova un nuovo lavoro, anche se appena l’8% delle assunzioni è a tempo indeterminato. A dodici mesi la percentuale sale al 68% ed in quest’ultimo caso è a tempo indeterminato poco più di un’assunzione su dieci. Esce, infine, dallo stato di disoccupazione per pensionamento solo un disoccupato su cento.

La durata dei contratti a tempo determinato è variabile per le diverse generazioni e antidurate, ossia correlata al tempo trascorso percependo l’indennità di disoccupazione, ed è mediamente di circa sei mesi.

Mobilità

La generazione 2005 di beneficiari di mobilità, analizzata a distanza di cinque anni, presenta un livello elevato di lavoratori in attività lavorativa, pari al 53,3%. La percentuale dei beneficiari che si pensionano è invece del 27,3%. Nel caso degli uomini la percentuale di beneficiari che lavorano è del 54,5%, mentre quella dei pensionati è del 30,8%; nel caso delle donne la quota di beneficiarie in attività lavorativa è del 51,5%, del 22,2% quella delle pensionate. Per gli ultracinquantenni la situazione è molto diversa, dopo cinque anni la percentuale di beneficiari in attività è solo del 14,5%, mentre la quota di pensionati sale al 73,4%.

Cassa integrazione guadagni

Nel 2010 il 34,8% dei beneficiari di indennità di Integrazione salariale ordinaria lavora nel Nord-ovest, il 27,0% nel Nord-est, il 15,6% nel Centro, il 17,7% al Sud, il 4,8% nelle Isole. La distribuzione sul territorio non cambia considerando Il sesso dei beneficiari – per quanto questi siano più numerosi fra gli uomini – e si concentra – guardando l’età dei beneficiari – per quasi due terzi (64,7%) nella fascia 30-50 anni, mentre il 23,2% è ultracinquantenne e il 12,0% ha meno di 30 anni.

Assegni familiari

Le classi di età con il maggior numero di beneficiari sono quelle dei 30-39enni (34,1%) e dei 40-49enni (44,8%). I beneficiari appartenenti a nuclei familiari numerosi sono relativamente di meno: più di sei su dieci appartengono, infatti, a nuclei fino a tre componenti, il 31,9% dei beneficiari ha un nucleo familiare di quattro persone, il 6,1% di cinque e appena l’1,2% ne ha più di cinque.

Pensioni e pensionati

Al 31 dicembre 2010 si contano in Italia 16 milioni 708mila pensionati. Di questi, il 75% percepisce solo pensioni di tipo Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (Ivs), mentre al restante 25% vengono erogate pensioni di tipo indennitario e assistenziale, eventualmente cumulate con pensioni di tipo Ivs.
Sotto il profilo geografico, il 27,5% dei pensionati risiede nel Nord-ovest, il 19,6% nel Nord-est, il 19,5% nel Centro, il 20,6% al Sud, il 9,9% nelle Isole.

La classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, con oltre 3 milioni 732mila pensionati. Seguono quella dei 70-74enni, che ne ha 2 milioni 912 mila, e la classe 65-69 anni, con 2 milioni 721mila pensionati; l’8,2 % dei pensionati ha meno di 55 anni.

Quasi un pensionato su due (49,4%) ha un reddito da pensione inferiore a mille euro, il 37,4% ne percepisce uno fra mille e duemila euro, mentre per il 13,2% dei pensionati il reddito pensionistico è superiore a duemila euro. Rispetto al 2008, il numero dei pensionati diminuisce mediamente dello 0,4%, mentre l’importo medio annuo del reddito aumenta del 9,5%.

Invalidità e assegni sociali

Nel complesso il numero dei pensionati d’invalidità e assegni sociali ammonta, al 31 dicembre 2010, a 4 milioni 480mila. Si tratta di circa 2 milioni 115mila maschi e 2 milioni 365mila femmine che vivono nel 15,9% dei casi nel Nord-ovest, mentre il 19,9% risiede nel Nord- Est, il 21% nel Centro, il 28,9% nel Sud e il 13,7% nelle Isole.

Nella distribuzione per età, la classe più numerosa è rappresentata dagli ultraottantenni, che sono il 34,6%. Il 52,8% dei pensionati d’invalidità e assegni sociali percepisce un importo mensile inferiore a mille euro, il 26,3% gode di una pensione fra mille e millecinquecento euro, solo l’1,5% ne ha una sopra i tremila.

Sono circa 1 milione e mezzo le pensioni di invalidità previdenziale al 31 dicembre 2010, di cui circa 680mila percepite dagli uomini e 819mila dalle donne, con un importo medio annuo rispettivamente di 9.267 e 7.689 euro. Le pensioni d’invalidità previdenziale sono erogate per il 16,7% nel Nord-ovest, il 14% nel Nord-est, il 21,1% nel Centro, il 32% nel Sud e il 14,6% nelle Isole.

Anche in questo caso la classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, con 703 mila pensioni d’invalidità previdenziale, mentre appena lo 0,1% viene erogata a persone con meno di 20 anni.

Il 90,6% delle pensioni d’invalidità previdenziale è sotto i mille euro mensili, mentre solo lo 0,9% è sopra i duemila. Il loro numero è in continuo calo: rispetto al 2008 sono diminuite del 12,6%.

Nel 2010 sono state erogate oltre 3 milioni 158mila pensioni di invalidità civile, circa 1 milione 240mila a uomini e 1 milione 918 mila a donne, che vivono nel 20,3% dei casi nel Nord-ovest, per il 15,2% nel Nord-est, per il 20,3% nel Centro, per il 29,9% nel Sud e per il 14,3% nelle Isole.

Le rendite per gli infortuni sul lavoro sono oltre 748 mila nel 2010, di cui più di 643 mila assegnate a uomini e circa 105 mila a donne. L’importo medio annuo erogato è pari a 4.238 euro. La classe di età più numerosa è sempre quella degli ultraottantenni con 114 mila rendite per infortunio, segue quella 70-74 anni, con 114 mila, e quella 75-79 anni, con 105 mila, mentre la meno numerosa è la classe sotto i 20 anni. Quasi il 95% delle rendite erogate per infortunio sul lavoro ha un importo medio mensile inferiore a mille euro.

Il numero delle pensioni di guerra è pari a oltre 105mila, delle quali quasi l’87% erogate a uomini. Il 16,5% di queste pensioni è concentrato nel Nord-ovest, il 18,4% nel Nord-est, il 28,7% al Centro, il 22,8% al Sud e il 11,2% nelle Isole. L’importo medio annuo erogato è di 8.518 euro.

La classe di età più numerosa è quella degli ultraottantenni, mentre solo lo 0,7% delle pensioni di guerra interessa le classi fino a 29 anni.

Il 91,1% delle pensioni di guerra presenta un importo medio mensile inferiore ai mille euro, il 7,3% è compreso fra mille e duemila euro, e la restante quota ha un importo sopra i duemila euro. Rispetto al 2008, il numero delle pensioni di guerra è diminuito del 12,2%.
Sono circa 800mila le pensioni e assegni sociali erogate nel 2010, circa 258 mila corrisposte a uomini e oltre 542mila a donne. L’importo medio annuo è di 4.952 euro.

Sul territorio queste pensioni si distribuiscono per il 16,1% nel Nord-ovest, il 10,7% è nel Nord Est, il 20,3% al Centro, il 33,4 al Sud e il 19,5% nelle Isole. La classe di età più numerosa è quella dei 65-69enni, con oltre 255mila pensioni erogate. Rispetto al 2008 aumentano leggermente sia il numero delle pensioni e assegni sociali erogati nel 2010 sia il relativo importo medio annuo.

Spese per servizi socio assistenziali

Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil nazionale. La spesa media pro capite è pari a 111 euro, ma le differenze territoriali sono significative: si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 nella provincia autonoma di Trento. Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-Nord e la Sardegna, mentre il Sud (escluse le Isole) presenta i livelli più bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro).

Famiglia e minori, anziani e persone con disabilità sono i principali destinatari delle prestazioni di welfare locale, su queste tre aree di utenza si concentra l’82,6% delle risorse impiegate.
Le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale incidono per il 7,7% della spesa sociale, mentre il 6,3% è destinato ad attività generali o rivolte alla “multiutenza”. Le quote residue riguardano le aree di utenza “immigrati e nomadi” (2,7%) e “dipendenze” (0,7%).

Il 38,7% della spesa è destinato a interventi e servizi, il 34,7% a sostegno di strutture, il rimanente 26,8% ai trasferimenti in denaro.
Nelle regioni del Sud quote di spesa significative sono destinate alle politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale: il 12,3% nel complesso dell’area, a fronte di una media nazionale del 7,7%, con un picco del 23,8% in Calabria.

Nelle regioni del Nord un volume maggiore di risorse è impiegato per la cura degli anziani e, soprattutto nel Nord-est, dei disabili. La quota di spesa destinata a interventi e servizi per i disabili è elevata anche nelle Isole (29,1%).

L’area di utenza “disabili” è anche quella che registra i livelli di spesa pro capite più elevati, in media 2mila 500 euro, valore che sale a 5mila euro nel Nord-est.

Prima infanzia

Nel 2009 sono circa 193mila i bambini tra zero e due anni di età iscritti negli asili nido comunali, compresi quelli che frequentano gli asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni.

Ammonta a circa 1 miliardo e 447 milioni di euro la spesa per gli asili nido, che ingloba quella sostenuta dalle amministrazioni pubbliche e dalle famiglie. La quota di spesa a carico degli utenti è, nel complesso, pari al 18%. Tale quota si mantiene piuttosto stabile negli ultimi anni. La compartecipazione degli utenti alla spesa è più elevata nelle Marche e in Lombardia (rispettivamente 26,4% e 25%).

Nonostante il generale ampliamento dell’offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9,0% dei residenti tra zero e due anni dell’anno 2004 all’11,3% di quelli del 2009.

 

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