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Il mondo cambia. E Sanremo? Il Festival ai tempi della tecnocrazia

di Fabio Germani

Come sarebbe dovuto essere Sanremo ai tempi del governo Monti? Se lo sono chiesto in tanti nelle ore che hanno preceduto la kermesse canora per antonomasia. Perché ogni anno c’è questa strana mania di appioppare al festival l’immagine del Paese. Ricordate, la scorsa primavera, il vento che iniziava a soffiare in altre direzioni? Ne parlavano tutti, dai politici più in vista alla casalinga di Voghera. E tutti con lo stesso chiodo fisso: prima delle amministrative e dei referendum ci fu il “compagno” Vecchioni che vinse la gara grazie al televoto, lo strumento che più berlusconiano non si può.
Dunque come sarebbe dovuto essere il Festival della canzone italiana ai tempi della tecnocrazia? Ce lo siamo chiesti anche noi.
Certamente sobrio. Così sobrio che – bando alle spese – il sistema di voto si è inceppato già alla prima serata costringendo gli organizzatori ad un repentino cambio di programma tra i mugugni del pubblico. Nulla di fatto, i cantanti si esibiranno di nuovo mercoledì. Nomen omen, il guasto tecnico è avvenuto dopo la performance di Bersani. Primarie o giuria popolare, il risultato è lo stesso se c’è un Bersani di mezzo.
Il festival ai tempi di Monti è flessibile. Così flessibile che la valletta ufficiale ha dato forfait all’ultimo. Per un infortunio al collo, dice. Più plausibile per una qualche forma di autodifesa.
Sicuro, il festival è innovativo. E in effetti l’inizio con coreografia spaziale e gli astronauti un pochino ci aveva illusi. Ma a un certo punto ti ritrovi sul palco, tutti insieme, Morandi, Celentano, Papaleo e Pupo. E capisci che non è ancora arrivato il momento per l’Italia di innovare.
Un Sanremo di rottura, ecco cos’è. Lecito pensarlo se c’è Celentano. Solo che la rottura non è quella che ti credevi e il suo istrionico sermone spazia tra la religione, Avvenire e Famiglia cristiana che non dovrebbero esistere più e non si capisce bene il motivo, il referendum elettorale, la Consulta e il siparietto con un Pupo finto adirato. Bellissimo gesto la beneficenza. Ma allo stesso tempo un atto dovuto.
In compenso, che poi è la cosa più importante, si salva la musica. Fino a sabato sono ammessi ripensamenti. C’è ancora tempo per giudicare il Festival di Sanremo ai tempi del governo Monti.

 

1 Commento per “Il mondo cambia. E Sanremo? Il Festival ai tempi della tecnocrazia”

  1. Silla

    Il festival dovrebbe essere uno spettacolo “di evasione” come vorrebbe la tradizione “classica” degli spettacoli leggeri, ma intelligenti della televisione italiana da “Canzonissima” a “Fantastico” a “Indietro tutta” e “Quelli della Notte” di Arbore, agli spettacoli di Fiorello, dove sono stati sfiorati – con eleganza – i problemi sociali, economici, politici.
    Prendere “di petto” certi argomenti come la religione, come fa Celentano, può far sorgere più di una perplessità, anche in chi condivide l’iniziativa,
    del tipo: “perché Celentano non ha accennato ai preti pedofili?” e altro.

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