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Venti anni fa. La politica dopo Mani Pulite

di Antonio Caputo

Sono passati esattamente venti anni dall’arresto di Mario Chiesa, con cui partì Tangentopoli, inchiesta che, avviatasi in ambito locale, dilagò ben presto a livello nazionale, travolgendo un’intera classe politica e demolendo il sistema dei partiti denominato Prima Repubblica.
Tangentopoli però non fu certo l’unica causa del crollo di quel sistema, che scricchiolava già da tempo. Il dualismo DC – PCI era sin dagli anni 70 percepito come una cappa di piombo, che ingabbiava una società ben più dinamica, ed insofferente (soprattutto nel voto d’opinione delle grandi città) verso i due “partiti-chiesa” quali erano appunto Piazza del Gesù e Botteghe Oscure. Crisi del sistema iniziata, dicevamo, dagli anni 70, e trascinatasi stancamente per tutti gli anni 80, decennio in cui i partiti (tutti) non compresero quali novità fossero in atto nella società non solo italiana, ma europea e mondiale, e credettero di andare avanti come nulla fosse con schemi vecchi di decenni. Furono gli anni dell’esplosione del debito pubblico, dell’inflazione a due cifre accentuata nel nostro Paese dall’emissione di moneta-carta-straccia per fronteggiare i debiti e dalle “svalutazioni competitive”. Anni da cicala, insomma, in cui il progresso del Paese si ferma e la spesa pubblica, che dal dopoguerra agli anni 60, aveva finanziato soprattutto la crescita (infrastrutture, piani di sviluppo), diventa spesa clientelare ed improduttiva, mentre i governi che si susseguono restano come paralizzati.
Il sistema si incancrenisce negli anni 80, fino a condurci sull’orlo del baratro nel 1991/92. Ma fermiamoci un momento al 1989: il 9 novembre di quell’anno crolla il Muro di Berlino, e di li a poco collassa l’intero sistema comunista dell’Est. Finisce la divisione del mondo in blocchi, vengono meno di colpo le ragioni della conduzione di una lotta politica (non solo in Italia) basata sullo scontro ideologico totale, frutto di visioni del mondo opposte ed inconciliabili. Cosa intendo dire? Semplice: che se fino a quel momento vi era la giustificazione, l’alibi morale, di un certo finanziamento (in nero) alla politica (ci servono i soldi perché sennò arrivano i cosacchi, o gli yankee, fate voi), con la fine del sistema di Yalta, la società non accetta più quel sovrapprezzo da pagare alla politica in nome di uno scontro ideologico, ormai concluso.
Pochi (ed inascoltati) i profeti di sventura che capiscono e denunciano la fine di un’epoca, dicendo, anzi, gridando che così non si può andare avanti: su tutti il presidente della Repubblica Cossiga, soprattutto nell’ultimo biennio del suo mandato. Cossiga era fautore da un lato, di riforme radicali dell’assetto costituzionale che consentissero il potenziamento dell’esecutivo, per andare in direzione di una maggiore efficienza della macchina dello Stato; dall’altro, della creazione di un effettivo meccanismo di alternanza tra i partiti, che includesse a pieno titolo nel sistema (legittimati, dunque, anche al governo) i Comunisti (ma anche l’MSI). Una classe politica incapace di comprendere a quale livello di inefficienza e di sperpero ci avesse portati quel sistema bloccato, e pigra ad ogni sorta di cambiamento, perse, non ascoltando il Picconatore, l’ultimo treno utile per restare a galla finendo in breve travolta dal crollo dell’edificio.
Ben prima di Tangentopoli diversi sintomi segnalarono la fine di un’epoca: l’exploit leghista alle regionali 1990; il successo a valanga, nel 1991, del referendum promosso dal Comitato Segni sulle preferenze plurime, viste dall’elettorato come fonte di brogli, e di corruzione; il crollo di DC e PDS alle elezioni del 1992 (Mario Chiesa, è vero, fu arrestato a febbraio, ma per due mesi l’inchiesta si fermò e quell’arresto non influì granché sul voto)
Cosa ci ha lasciato Mani Pulite? Travolto un intero sistema, e nata in tal modo la cosiddetta Seconda Repubblica, il ceto politico della nuova stagione non è stato purtroppo affatto migliore di quello che lo precedette. Un mix di antipolitica (la Lega; Di Pietro; oggi Beppe Grillo); di gente riciclata che trafficava in seconda o terza fila; un po’ di “nuovo” importato dall’esterno (Berlusconi); alcuni professionisti della politica (soprattutto a sinistra) più esperti e meno usurati. Quanto ai risultati: sull’orlo del baratro del debito pubblico, causa un ceto politico incapace ed inefficiente, eravamo, e sull’orlo del baratro del debito pubblico siamo tuttora. La corruzione dilagante di venti anni fa non è affatto scomparsa: è di ieri la denuncia della Corte dei Conti sul malaffare che ci costa 60 miliardi di euro annui (peggio che nel 1991/92), con l’aggravante che all’epoca, rubando, lo si faceva per finanziare il partito, in nome della lotta ideologica; oggi, liquefatti i partiti, si ruba per arricchirsi. Allora, una politica incapace a tamponare la falla del debito, varò una cura da cavallo, e cedette la mano ai tecnici; oggi è lo stesso.
La Seconda Repubblica, nata con grandi speranze di cambiamento, si è ritrovata negli anni con esecutivi paralizzati da lotte interne, impantanati ed impotenti, tipo quelli Rumor o Andreotti. Ha dato vita ad un sistema in cui allo scontro ideologico si è sostituito uno scontro personale; un sistema in cui l’immagine conta più dei risultati, e in nome dell’immagine, che serve per la rielezione, si fanno opere inutili, ma dal buon ritorno di popolarità, sprecando ulteriori soldi e inguaiando ancor più i bilanci. Il frutto avvelenato dell’antipolitica ha demonizzato la professionalità politica dando vita ad una classe di improvvisati che per propria incapacità ha ceduto il passo ai tecnici. Si spera (e in ciò il governo Monti è partito bene: dopo la stangata iniziale, in un mio precedente articolo chiedevo riforme vere, e su quella strada si sta procedendo) che l’attuale fase dei tecnici possa restituire serietà alle istituzioni, e che la nascente Terza Repubblica possa farci diventare, finalmente, “un Paese normale”.

 

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