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BiT: uno sguardo oltre la superficie

di Giampiero Francesca

Visitare la BiT, borsa internazionale del turismo, è un po’ come entrare in luna park. Gli enormi padiglioni della fiera abbondano infatti di stand colorati, adornati da profumati prodotti tipici e decorazioni folcloristiche, di figuranti in abiti tradizionali e di invoglianti presentazioni culinarie. Ma è poi così oro tutto quello che luccica?
A guardare lo sfarzo dei vari stand regionali, provinciali, finanche, a volte, comunali, la ricchezza mostrata dagli enti di promozione, dai consorzi, dalle agenzie del territorio non dovrebbero sorgere dubbi sulla situazione del settore turistico italiano. D’altronde quale altro paese al mondo può fregiarsi di tante e così variegate bellezze storico, artistico, culturale e paesaggistico? Eppure, guardando oltre la superficie, negli occhi degli operatori inquieti che animano questa Borsa (che quest’anno conta un considerevole decremento come numero di presenze), si percepisce chiaramente lo smarrimento di un settore in crisi. Sui dati non si scherza e quelli del turismo parlano chiaro; l’Italia non è certamente in un periodo florido. Compito della BiT dovrebbe essere dunque, fra gli altri, proprio quello di riflettere su questa condizione evidenziando i problemi al fine di prove tempestive ed appropriate soluzioni.
Fra le presentazioni di nuovi e innovativi progetti, le degustazioni, le conferenze e le tavole rotonde nessuno sembra però voler prendere atto della situazione, come se la crisi si sconfiggesse a suon di buoni propositi e abile dialettica. Elencare una noiosa lista di problemi di cui soffre questo settore (molti dei quali sono in realtà condivisi da tutta la nostra società) non pare comunque un esercizio utile. Si potrebbe però semplicemente partire proprio dalla matrice stessa di questa manifestazione: la comunicazione. Come insegnano infatti i più grandi brand mondiali, anche il prodotto migliore, dal successo più duraturo, necessita di una continua ed aggiornata campagna di promozione. Vale per le bibite gassate così come per le località di villeggiatura. Una considerazione che, almeno a parole, appare ben compresa anche dagli operatori di settore, sempre felici nel promuovere innovative e brillanti iniziative. Ma ancora una volta le buone intenzioni spesso non coincidono con i fatti. Basta attraversare il ponte dei mari che separa i padiglioni italiani da quelli del resto del mondo (o, più semplicemente, aprire un portale di promozione turistica estero, dalla Norvegia alla California, dalla Svizzera ai Paesi Arabi) per rendersene conto. Senza dilungarci in dettagli tecnici sulla costruzione delle rispettive campagne di promozione, sui servizi sempre più multimediali ed interattivi proposti, sulla semplicità e l’immediatezza delle varie forme di comunicazione, basta poco più di un’occhiata per comprendere la distanza che ci separa da gran parte dei nostri competitor mondiali.

È vero dunque che Venezia sarà sempre Venezia, e che dal nuovo e vecchio mondo continuerà a ricevere visitatori e turisti, ma che ne sarà di tutti i borghi e i comuni splendidi, ma meno conosciuti? qual è il futuro di tutte le realtà al di fuori delle rotte del turismo mainstream? Da questa BiT non sembrano venire grandi risposte, anche perché, negli scintillanti padiglioni, non sembrano porsi nemmeno la domanda.

 

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