L’epoca delle “passioni tristi” | T-Mag | il magazine di Tecnè

L’epoca delle “passioni tristi”

Il 50% degli intervistati ritiene il proprio tenore di vita peggiorato e il 41% ritiene addirittura che nel prossimo futuro sia destinato a peggiorare ulteriormente. Nel 2001 solo il 28% sosteneva il peggioramento del proprio tenore di vita. È quanto emerge dall’ultima indagine dell’istituto di ricerca Tecnè, pubblicata su l’Unità del 12 marzo.
“Nella società che non attende e non si affida – scrive Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè –, sembra crescere una nuova e diffusa forma di malattia sociale: la malinconia. I pensieri si fanno sempre più disordinati, appiattiti nella superficialità di un’esistenza spogliata da valori e orientamenti. I rapporti si fanno anonimi, privi di coinvolgimento, e cresce un sentimento d’infelicità e di tristezza, come per una promessa tradita che dà corpo alla sensazione di vivere ai confini di una realtà incerta, abbandonati all’insicurezza d’indefinibili orizzonti.
Eppure per molto tempo si è creduto che il cammino dell’uomo sarebbe stato un progresso inarrestabile, che non avrebbe incontrato ostacoli né subito interruzioni. Il futuro avrebbe accumulato nuove conquiste, non solo scientifiche e tecniche, ma anche morali e politiche, sempre più elevate. Nel Settecento, questa è stata la convinzione di autori come Voltaire e Turgot e nell’Ottocento l’idea di un progresso ascendente ha costituito il centro del pensiero di filosofi come Hegel, Comte e Marx.
Discutere faccia a faccia con il creatore: era questa la promessa che l’umanità aveva fatto a se stessa. Una promessa mancata visto che, oggi, prevale un clima di pessimismo che evoca un domani molto meno positivo, dove la positività pura si trasforma in negatività, e la stessa promessa si è trasformata in minaccia. Certo, le conoscenze si sono sviluppate in modo incredibile ma, sembrano incapaci di alleviare la sofferenza umana, gettandoci contemporaneamente in una forma d’ignoranza molto diversa dal passato, ma forse più pericolosa, che ci rende impotenti di fronte alle nostre infelicità e ai problemi che ci minacciano. E non perché la scienza non sia abbastanza evoluta e perfezionata, ma perché la promessa di un “mondo nuovo” e di un “uomo nuovo”, finalmente libero dalla sofferenza, non è stata mantenuta e l’uomo si è scoperto indifeso di fronte alla constatazione che in mancanza della felicità, come scriveva Freud, bisogna accontentarsi di evitare l’infelicità”.
Di seguito l’indagine Tecnè. Qui l’articolo integrale di Carlo Buttaroni.

 

 

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