Un grande interprete della pittura italiana del 500. Tintoretto (1519-1594) | T-Mag | il magazine di Tecnè

Un grande interprete della pittura italiana del 500. Tintoretto (1519-1594)

di Stefano Di Rienzo

Attualmente a Roma alle Scuderie del Quirinale si sta svolgendo la mostra sul “Tintoretto”, (dal 25 febbraio al 10 giugno 2012) considerato come l’ultimo dei grandi pittori del Rinascimento.
L’esposizione di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (Venezia 1519-Venezia 1594, chiamato così dal mestiere del padre tintore di panni) si inquadra nell’ampio programma di rivisitazione degli artisti che hanno reso unica e grandiosa la storia artistica dell’Italia, da Botticelli ad Antonello da Messina, da Bellini a Caravaggio e più recentemente a Lorenzo Lotto e Filippino Lippi concentrandosi sui tre temi della pittura dell’artista: quello religioso, quello mitologico e quello inerente alla ritrattistica. L’unico tra i grandi interpreti della pittura italiana del Cinquecento a non aver avuto fino ad ora in Italia una mostra monografica significativa, se si esclude l’esposizione tematica dedicata ai ritratti tenutasi a Venezia nel 1994, l’ultima mostra sul grande maestro veneto risale al 1937, ciò era dovuto all’obiettiva impossibilità di spostare i grandi teleri veneziani.
La mostra raccoglie circa 40 dipinti (cui si affiancherà una sezione dedicata all’ambiente artistico contemporaneo del Tintoretto) tutti di altissima qualità, provenienti da musei e collezioni internazionali capace di fornire al grande pubblico un approccio sintetico e significativo al percorso artistico dell’artista.
Un’esposizione monografica suddivisa in sezioni di poche opere scelte capolavori indiscussi che si apre e si conclude presentando i due “Autoritratti” quello giovanile del Victoria e Albert Museum di Londra (1546-1548) e quello senile del Louvre (1587).
La prima sezione al primo piano delle Scuderie è dedicata ai temi religiosi (tematica presente nella poetica di Tintoretto) e si apre con una delle prime opere riconosciute, “Gesù tra i Dottori” (1542) opera concessa dal Museo Diocesano del Duomo di Milano, lo spettacolare “Miracolo dello Schiavo” dipinto nel 1548 per la Scuola Grande di S. Marco che lo consacrerà prepotentemente come uno dei protagonisti della scena veneziana per poi concludersi con “La Deposizione al Sepolcro” (1594) del Monastero di S. Giorgio Maggiore forse l’ultima opera in cui è possibile riconoscere la mano del Maestro. Nel percorso espositivo possiamo trovare opere celebrate e famose come “La Madonna dei Tesorieri” (1567), “Il Trafugamento del corpo di S. Marco” (1562-1566) ambedue provengono dalle Gallerie dell’Accademia, “La Santa Maria Egiziaca” (1583-1587) e la “Santa Maria Maddalena” (1583-1587) della Scuola Grande di San Rocco, infine un inedito e strepitoso confronto tra “L’Ultima Cena” della veneziana chiesa di San Trovaso (1564-1566) e quella di cinque anni più tarda della chiesa di San Polo (1565-1570) a celebrare uno dei temi prediletti delle Scuole del Sacramento di Venezia. Le due “Ultime Cene”, opere dal forte impatto drammatico e dalla stesura densa di tensione, allestite quasi in forma di dialogo l’una con l’altra al fianco di soggetti come “La Lavanda dei Piedi” (1548), “L’Orazione nell’Orto” (1576-1581), “La Raccolta della Manna” (1592-1594) o la “Crocifissione” (1565). “L’Ultima Cena” di S. Polo versava in uno stato conservativo tale da rendere impensabile l’esposizione alla mostra: la superficie era offuscata dalla polvere e un’ossidazione delle vernici aveva alterato i rapporti cromatici del dipinto. Per tre mesi i restauratori hanno lavorato sul capolavoro sotto la direzione di Giulio Manieri Elia della Soprintendenza veneziana ripulendola dalla polvere e dalle vecchie vernici ingiallite e soprattutto risanando i danni causati dal restauro ottocentesco quando in fase di stiraggio per far aderire la fodera alla tela dipinta i collanti e il calore eccessivo hanno deteriorato in alcuni punti il colore e la pressione ha schiacciato le pennellate più spesse. Da qui la scelta di un’importante opera di restauro resa possibile grazie all’intervento finanziario di Cariparma e condotta secondo tempi e modalità che hanno permesso di esporre il dipinto alla mostra. Il capolavoro è stato sempre nella chiesa di S. Polo a Venezia ed è uscito per la prima volta dalla città lagunare in occasione di questa mostra, motivo in più per ammirarla.
Oltre ad impegnarsi nelle colossali imprese decorative delle Scuole Grandi e di Palazzo Ducale, Tintoretto divenne l’artista prediletto delle piccole confraternite attive nelle varie parrocchie della città: le Scuole del Sacramento di S. Trovaso e San Polo, San Cassiano, San Simeone, Santa Margherita, San Felice costituite da artigiani e mercanti che affidarono al pittore l’incarico di decorare le cappelle, i banchi e gli altari di loro proprietà con dipinti e pale in cui si dava espressione all’esigenza di una riforma religiosa che si era venuta manifestando prima della pubblicazione ufficiale dei decreti tridentini nella vita quotidiana delle parrocchie. E proprio in questo contesto che l’artista veneziano rinnova l’iconografia sacra e introduce elementi tratti dalla vita quotidiana, capaci di facilitare una risposta emotiva da parte dei fedeli e attivare sentimenti di imitazione.
Accanto ai grandi teleri di impatto drammatico dalla stesura fulminea e densa di tensione, si presentano al visitatore le opere di soggetto storico o mitologico di grande intensità emotiva come per esempio due dei quattordici ottagoni raffiguranti “Apollo e Dafne” e “Deucalione e Pirra” ora nella Galleria Estense di Modena realizzati nel 1541 per il soffitto di Casa Pisani o la splendida “Susanna trai Vecchioni” (1557) dal Kunsthistorisches di Vienna.
Al piano superiore le altre due sezioni della mostra sono dedicate ai ritratti, dove sebbene in competizione con Tiziano che a Venezia era uno dei più importanti ritrattisti, i suoi contemporanei gli riconobbero un “perfettissimo giudizio”. In questo settore Tintoretto si fece aiutare dai suoi figli Marietta e Domenico ed era un ottimo modo di farsi conoscere presso le alte sfere ed ottenere così incarichi importanti. Per un ritratto era fondamentale il tempo di esecuzione, spesso il soggetto non poteva permettersi lunghe sedute di posa, sia perché stancanti, sia perché impossibilitato ad allontanarsi troppo dai propri affari, per questo si usava eseguire una serie di studi veloci dal vero da rielaborare poi per il dipinto vero e proprio, questi studi potevano essere conservati e riutilizzati anche in altre occasioni, come per esempio nel caso del “Ritratto di Girolamo Priuli”(1559), ritratto di sovrano eseguito in più versioni. Girolamo Priuli divenuto doge nel 1559 incaricò il Tintoretto nell’esecuzione del suo ritratto, l’opera fu completata in mezz’ora perché l’artista aveva già preparato la tela, la posa era abbozzata dato che i ritratti dogali avevano uno schema determinato e le rifiniture e i panneggi delle vesti venivano eseguiti nello studio del pittore con l’ausilio di manichini e stoffe. Nel caso in cui un ritratto doveva essere inserito in un’opera di grandi dimensioni, come per esempio un dipinto votivo, Tintoretto lo eseguiva su una tela tesa su un telaio provvisorio per poi farlo cucire direttamente sulla tela più grande.
Grande novità della mostra e rappresentata dal commento sotto forma di testi di Melania Mazzucco, la scrittrice che ha dedicato a Tintoretto numerosi romanzi e pagine indimenticabili, il suo racconto accompagnerà il visitatore passo dopo passo sala dopo sala dall’inizio dell’esposizione fino alla fine.

 

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