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Quanto vale l’economia sommersa in Italia

Pubblichiamo di seguito la sintesi del rapporto Eurispes "L'Italia in nero" presentato la scorsa settimana a Roma

L’economia sommersa muove nel nostro Paese circa 540 miliardi di euro. A fronte di un’inflazione in costante crescita negli ultimi 10 anni, e del livello dei salari italiani tra i più bassi d’Europa tanto da poter affermare che i lavoratori continuano ad essere pagati in lire, anche se comprano in euro, i sintomi della crisi sono ormai evidenti. Solo un terzo delle famiglie italiane, infatti, riesce ad arrivare tranquillamente a fine mese; almeno 500.000 famiglie hanno difficoltà a onorare i mutui per la casa; aumenta il credito al consumo (più del 100% tra 2002 e 2011) e cresce la povertà “in giacca e cravatta”. Uno dei mezzi principali ammortizzatori degli effetti della crisi sembra allora essere proprio l’economia sommersa, il cui valore complessivo è stimato dall’Eurispes per il 2011 in almeno 540 miliardi di euro, corrispondenti al 35% del Pil ufficiale.

Lo spread tra ricchezza “dichiarata” e benessere reale. Lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa rileva la presenza di una ricchezza familiare “non dichiarata”, in assenza della quale anche le spese di normale amministrazione risulterebbero pressoché insostenibili nel medio/lungo termine. La discrasia tra ricchezza “dichiarata” e ricchezza reale delle famiglie italiane trova ulteriore conferma nel raffronto tra: l’esigua percentuale di redditi elevati dichiarati dai contribuenti persone fisiche (meno dell’1% supera la soglia dei 100.000 euro); il numero di super-ricchi (circa 180.000 nel 2009, in crescita rispetto agli anni precedenti) e, più in generale, le dimensioni del mercato italiano dei beni di lusso (primato europeo nel 2010 con un giro d’affari di 16,6 miliardi di euro).
Si è, quindi, deciso attraverso le analisi presentate in questo Rapporto di approfondire ulteriormente il tema del differenziale tra ricchezza “dichiarata” e “benessere reale” nel nostro Paese, adottando un approccio empirico e formulando un modello analitico basato su: la raccolta e messa a sistema di 13 variabili di contesto socio-economico regionale e provinciale; l’indicizzazione delle singole variabili oggetto di indagine; il calcolo del differenziale tra indicatori proxy della ricchezza “dichiarata” (Pil pro capite e reddito disponibile delle famiglie) e la media degli indicatori proxy del benessere. A valori negativi del differenziale corrisponde un benessere reale superiore alla ricchezza dichiarata e, quindi, un livello più o meno elevato di economia sommersa.
Per una più agevole lettura dei risultati, i valori differenziali sono stati, infine, riparametrati in base 100, per cui: a valori Indice pari o prossimi a 100 corrisponde un benessere reale certamente sostenibile in termini di ricchezza “dichiarata”; a valori Indice superiori a 100 corrisponde un benessere reale insostenibile in termini di ricchezza “dichiarata”, ovvero una maggiore incidenza del sommerso sull’economia del territorio.
A livello regionale si sottolinea, in particolare, il primato assoluto della Puglia, con uno spread di 54, seguita da Sicilia, Campania e Calabria (spread rispettivamente di 53, 51 e 50). Si registrano invece valori intermedi di spread (compresi tra 40 e 50) in sei regioni, di cui cinque nel Mezzogiorno (Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata) e una nel Centro Italia (Umbria). Mentre valori minimi di spread (inferiori a 30) sono riscontrabili nelle rimanenti 11 regioni, localizzate in massima parte nel Nord Italia, con valori minimi in Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia (spread, rispettivamente, di 1, 11 e 12).
In 18 province lo spread supera quota 50 punti (Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi ed Agrigento in testa, con spread pari o superiore a 57). Altre 60 province (la maggioranza assoluta) ha uno spread compreso tra 20 (Reggio nell’Emilia) e 50 (Avellino, Siracusa, Reggio di Calabria).

I redditi dichiarati dagli italiani. Sulla base delle statistiche ufficiali del Ministero dell’Economia e delle Finanze relative alla dichiarazione dei redditi degli italiani ai fini del calcolo dell’Irpef, il numero di contribuenti-persone fisiche è pari a 41,5 milioni (2009). La tipologia di dichiarazione maggiormente utilizzata è il Modello 730 (17,2 milioni di contribuenti, 41,5% del totale), seguito dal Modello 770 (13,7 milioni di contribuenti, 33% del totale) e dal Modello Unico (10,5 milioni di contribuenti, 25,5% del totale); i maschi rappresentano la maggioranza assoluta dei contribuenti (21,8 milioni, 52,7% del totale), contro il 47,3% delle contribuenti femmine (19,6 milioni). La più alta percentuale di contribuenti si registra nel Nord-Ovest (11,7 milioni, 28,2% del totale) rispetto al Nord-Est (8,7 milioni, 21,1% del totale), al Sud (8,5 milioni, 20,6% del totale), al Centro (8,3 milioni, 20,2% del totale) e alle Isole (4 milioni, 9,8% del totale); il primato assoluto spetta alla Lombardia, nella quale si concentra il 17,1% dei contribuenti-persone fisiche (7,1 milioni), mentre l’incidenza delle altre regioni sul totale nazionale è inferiore al 10% e compreso tra il 9,2% del Lazio e lo 0,2% della Valle d’Aosta (rispettivamente 3,8 e circa 100.000 contribuenti).
Analizzando le dichiarazioni dei redditi 2010 dei 41,5 milioni di contribuenti-persone fisiche (anno d’imposta 2009), si rileva, anzitutto, l’estrema eterogeneità del dato relativo al reddito medio dichiarato (media nazionale di 19.030 euro) in relazione all’area geografica e alla regione di riferimento. In particolare: nel Nord-Ovest si registra il più alto reddito medio dichiarato, pari a 21.553 euro (+13,3% rispetto al dato medio nazionale). Seguono il Centro e il Nord-Est con un reddito medio dichiarato di circa 20.000 euro (+5% rispetto al dato medio nazionale, -7% rispetto al Nord-Ovest). Notevolmente distanziate le altre due aree geografiche, essendo il reddito medio dichiarato pari a 15.686 euro nelle Isole (-17,6% rispetto al dato medio nazionale, -27,2% rispetto al Nord-Ovest) e a 15.316 euro nel Sud (-19,5% rispetto al dato medio nazionale, -28,9% rispetto al Nord-Ovest). A livello regionale, è la Lombardia a detenere il primato per reddito medio dichiarato (22.430 euro, +17,9% rispetto alla media nazionale), seguito dal Lazio (21.440 euro, +12,7% rispetto alla media nazionale) e dalla Valle d’Aosta (20.690 euro, +8,7% rispetto alla media nazionale). Situazione diametralmente opposta in Molise, Basilicata e Calabria, dove si registrano i più bassi redditi medi dichiarati, pari, rispettivamente, a: 14.690 euro (-22,8% rispetto alla media nazionale); 14.580 euro (-23,4% rispetto alla media nazionale); 13.860 euro (-27,2% rispetto alla media nazionale). Complessivamente, il differenziale tra i due estremi regionali (Lombardia e Calabria) è superiore al 60% (circa 8.500 euro).
Poco meno della metà dei contribuenti-persone fisiche (20,3 milioni, 49,1% del totale) ha dichiarato nel 2010 un reddito complessivo inferiore a 15.000 euro (1.250 euro su base mensile), mentre la stessa percentuale, riferita alle successive classi di importo, tende a decrescere all’aumentare del reddito complessivo dichiarato (35,2% tra 15.000 e 30.000 euro di reddito; 11,3% tra 30.000 e 50.000 euro; 3,5% tra 50.000 e 100.000 euro; solo lo 0,9% più di 100.000 euro). Tra coloro che hanno dichiarato un reddito complessivo inferiore ai 15.000 euro l’11,8% si colloca al di sotto dei 1.000 euro (5,6% del totale dei contribuenti), il 16,1% nella fascia 7.500-10.000 euro (7,7% del totale dei contribuenti), mentre il 19,4% nella fascia 12.000-15.000 euro (9,2% del totale dei contribuenti).
Infine, relativamente alla tipologia di reddito, quelle maggiormente dichiarate dai contribuenti-persone fisiche sono i redditi da lavoro dipendente, da fabbricati e da pensione in termini di: numero di contribuenti (rispettivamente 20,8, 20 e 15,3 milioni) e reddito complessivamente dichiarato (rispettivamente 413, 36 e 223 miliardi di euro).
L’analisi delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti-persone fisiche è propedeutica all’elaborazione di un modello statistico in grado di valutare la sostenibilità dei consumi delle famiglie italiane (con esplicito riferimento a talune tipologie in termini di numero di componenti e classi di reddito) nelle ipotesi in cui: il reddito dichiarato corrispondesse a quello realmente percepito dai contribuenti; il reddito dichiarato corrispondesse solamente ad una parte, più o meno consistente, del reddito realmente percepito dagli italiani, i cui consumi verrebbero quindi sostenuti anche da altre fonti di reddito (economia sommersa).

940 miliardi di euro l’anno: la spesa realmente sostenuta dalle famiglie. A tanto ammonta la spesa attualmente sostenuta dalle famiglie per l’acquisto di beni (durevoli e non) e servizi, che ha registrato, nell’arco temporale che va dal 2000 al 2009, un incremento significativo, seppur in parte ridimensionato nel corso del 2009 a causa della grave e generalizzata crisi economica. Nel 2000, la spesa complessiva delle famiglie italiane era pari a circa 727,2 miliardi di euro (valori a prezzi correnti); dieci anni più tardi, nel 2009, lo stesso valore ha superato i 918,6 miliardi di euro, con una flessione del 2% rispetto al 2008 e un incremento, rispetto al 2000, del 26,3%. Nel corso del 2010, la spesa complessiva delle famiglie italiane è tornata a crescere, registrando un incremento del 2,4% rispetto al 2009.

Il bilancio familiare letto attraverso le spese di una “famiglia tipo”. Individuando le caratteristiche di una famiglia tipo (idealmente composta da due adulti e due bambini che risparmia su tutto ma non fa mancare nulla ai figli e conduce una esistenza quasi spartana ma dignitosa), l’Eurispes ha quantificato il costo mensile necessario per mantenere stabile il livello del tenore di vita individuato.
Per le sole spese alimentari si va da un massimo di 950 euro in media al mese nelle regioni del Nord-Ovest ad un minimo di 748 euro al mese nel Mezzogiorno, con una media nazionale di 825 euro/mese.
Forti differenze si ritrovano anche per le spese della casa: nel Nord-Est e del Sud, ad esempio, per un trilocale e servizi si possono spendere 850 euro al mese; nelle Isole circa 700 euro. Mentre al Nord-Ovest e al Centro si raggiungono in media cifre comprese tra i 1.050 e i 1.100 euro (media nazionale 890 euro/mese).
Per le spese di trasporto la spesa media mensile si attesta complessivamente a 339 euro/mese con una valore massimo calcolato per il Nord-Est (370) e quello minimo nelle Isole (310 euro). Invece, le uscite del bilancio familiare dedicate agli acquisti per l’abbigliamento raggiungono in media 240 euro mensili.
A queste voci di vanno aggiunte le bollette, i costi per la mensa scolastica dei bimbi, la cui spese media mensile per famiglia tipo si aggira attorno ai 150 euro. Se si aggiungono anche le spese medico-sanitarie (medicinali, analisi, esami, dentista, ecc.) i valori aumentano di circa 950 euro l’anno.
In conclusione, si è potuto calcolare che il costo medio per i beni essenziali di una famiglia composta da quattro persone è di 30.276 euro l’anno, cioè di 2.523 euro al mese.
Se alle voci considerate si aggiungessero categorie quali comunicazione, arredamenti, tempo libero, cultura, sport e le spese impreviste, la spesa mensile necessaria subirebbe un aumento di circa il 25%. Il che equivale ad una spesa mensile complessiva di 3.154.
Come è facile intuire, il reddito medio delle famiglie, non arriva a questa cifra. Come spiegare, allora, la circostanza che le famiglie che si trovano nelle condizioni ipotizzate dall’Eurispes e che non sono certamente poche nel nostro Paese, possano sopravvivere? La risposta arriva dalle rilevazioni della Banca d’Italia che ci dimostrano come in moltissime famiglie al reddito da lavoro si aggiungano altri redditi: innanzitutto i trasferimenti, che possono provenire dallo Stato e dagli Enti locali e/o da altre famiglie (nonni, genitori). Una seconda fonte di entrate è data naturalmente dai redditi da capitale mobiliare e immobiliare, che per la Banca d’Italia rappresentano una quota non trascurabile dei redditi complessivi delle famiglie italiane. Infine, un’ulteriore fonte di reddito è rappresentata dal secondo lavoro, spesso esercitato in nero.

 

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