Frequenze tv. Il governo azzera il beauty contest
Che qualcosa sarebbe cambiato già lo si era intuito dopo le sue prime dichiarazioni da ministro. “Non credo sia buona cosa cedere gratuitamente beni di valore dello Stato”, aveva detto al momento del suo insediamento Corrado Passera, riferendosi alla modalità di assegnazione delle frequenze televisive pensata dal governo Berlusconi, il cosidetto “Beauty Contest”. L’allora neoministro dello Sviluppo economico si era dato qualche mese di riflessione e avrebbe deciso cosa cambiare entro la metà di aprile. Ed ecco che a pochi giorni dalla scadenza del termine stabilito, Passera ha già sciolto ogni nodo: nessun canale verrà ceduto gratis ai network come prevedeva il Beauty Contest, ma due o tre dei sei multiplex di segnale a disposizione verranno assegnati tramite una vendita pubblica. “La prossima asta – ha annunciato il ministro, spiegando i dettagli del progetto – sarà fatta di pacchetti di frequenze con durate verosimilmente diverse”.
Più si scende nei dettagli, più si capisce che il governo Monti non si è limitato a cambiare qualcosa, ma, anzi, ha stravolto il piano iniziale dell’esecutivo Berlusconi e dell’allora ministro dello sviluppo, Paolo Romani. Con il Beauty Contest, così come era stato pensato inizialmente, i canali sarebbero stati assegnati a titolo gratuito e con un vincolo di proprietà di cinque anni ai network che possedevano i requisiti previsti dalla legge. Insomma, i canali assegnati gratuitamente potevano poi essere ceduti a caro prezzo.
Mario Monti e Corrado Passera, invece, hanno cambiato tutto: i canali, spacchettati, saranno messi all’asta. Una parte dei multiplex di segnale, si parla della banda larga 700 (un collegamento super veloce) verrà ceduta ai network e solo per tre anni da adesso, quindi da qui fino al 2015. Una data importante per il settore delle telecomunicazioni, se si pensa che, secondo quanto stabilito dalle Nazioni Unite, dal 2015 una serie di reti dovranno essere trasferite dalla televisione all’accesso a Internet.
Secondo le prime indiscrezioni, le compagnie telefoniche come Tim, Vodafone, Wind e 3, avendo investito, non più tardi di sei mesi fa, quasi quattro miliardi per la LTE e il 4G non sarebbero interessate a partecipare all’asta, che secondo le prime stime di Mediobanca di febbraio garantirebbe allo Stato un incasso di circa 1-1,2 miliardi di euro.
L’asta, al momento, ancora non si può fare, bisogna infatti attendere prima di tutto il parere della commissione europea. Ma non solo, il progetto del governo dovrà essere esaminato dai partiti di maggioranza e, se tutto andrà come previsto dall’esecutivo, sarà poi l’Agcom a stabilire tempi e modalità della vendita dei canali.
M. S.