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Al Vascello la rilettura moderna di un’opera ancora attuale

di Veronica Adriani

Una Roma pasoliniana, educatori che hanno perso il loro ruolo, sacerdotesse in abiti sadomaso, giovani dal linguaggio incomprensibile, il tutto condito da un tocco di malinconia che con lo scorrere del tempo lascia spazio alla comicità più sfrenata: è il Satyricon in scena al teatro Vascello fino al 29 aprile, progetto nato dalla compagnia Verdastro-Della Monica, dal forte impatto visivo e contenuti quanto mai attuali.
Petronio, forse il più contemporaneo degli autori latini, viene rimaneggiato dalle penne di Antonio Tarantino, Marco Palladini, Letizia Russo, Massimo Verdastro, Andrea Macaluso, Lina Prosa e Magdalena Barile, per prendere la forma di una riflessione contemporanea che prende le mosse da tempi lontani ma tristemente simili ai nostri.
Nei primi tre capitoli dell’opera – quelli in scena dal 13 al 19 aprile – i giovani protagonisti Encolpio, Ascilto e Gitone, maestri nell’arte di “galleggiare” in un’epoca che lascia i giovani senza risposte e senza mestiere, appaiono disorientati, disillusi, figli di una città e di un mondo che i giovani non li prende più sul serio. Una città dove il ruolo dei “maestri” è fortemente deviato: ecco quindi il poeta-pedagogo Eumolpo, povero in canna ma fortemente vizioso, ed ecco il professore di una “clinic glottologica” in cui i giovani figli di uomini arricchiti ma di estrazione plebea trovano una (cara) cura ai loro difetti di pronuncia. Forte la critica al ruolo dell’educazione, ormai trasformata in puro commercio. Spiega infatti il professore ad un esterrefatto Encolpio nel secondo episodio dell’opera, Tra scuola e bordello, “c’era chi credeva di cambiare il mondo con la forza delle idee, ma l’unica forza in grado di cambiare davvero qualcosa è quella del denaro”. E così, se per il professore ci sarà sempre un posto nell’alta società, spillando soldi ai ricchi genitori di allievi irrecuperabili, ai poveri Encolpio ed Ascilto non resta che il lupanare.
Si passa dalla malinconia struggente alla risata aperta, in questo Satyricon. Dalla riflessione amara sulla decadenza dell’arte, impreziosita dalle performance pittorica e canora di Silvio Benedetti e Francesca della Monica in La pinacoteca di Eumolpo, a quella su una lingua che cambia, colonna portante del secondo episodio. In questa strana Babele i giovani parlano il linguaggio degli SMS, il professore quello del marketing, nel bordello una maitresse sciorina un sensuale dialetto emiliano, e ai protagonisti è riservato il romanesco del Belli, una lingua fuori dal tempo, come fuori dal tempo sono le loro idee e i loro valori.
Nel terzo episodio, per il quale una nota di merito va a una spumeggiante Tamara Balducci, la lingua imperante è invece un irresistibile latino maccheronico, affidato a una singolare sacerdotessa impegnata a riparare all’offesa fatta da Encolpio, Ascilto e Gitone al dio Priapo, con l’aiuto di alcuni improbabili assistenti – una bambina tutt’altro che pudica, che ha solo sette anni, ma “in publicum habet diciottum annos”, un esilarante Boy George e Psiche, un’attempata “ancilla ancillae” che mette le sue sapienti arti amatorie al servizio della sacerdotessa.
Una riflessione sulla società contemporanea in crisi, sull’arte che non assolve più al suo compito, su un mondo alla rovescia in cui gli uomini si fanno la guerra spartendosi le fette del mondo. Per sopravvivere non resta che riderci su. Una risata amara, com’era quella di Petronio, e com’è quella del suo Satyricon.

 

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