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Scoraggiati e in cerca di futuro

“I tempi e i modi dell’azione amministrativa possono incidere sulla competitivita’ del paese, sul sistema economico e giuridico, mentre la burocrazia può costituire un freno allo sviluppo e alla crescita”. L’assioma del presidente del Consiglio, Mario Monti, giunge nel giorno in cui l’Ocse riferisce del numero di fallimenti tra le piccole e medie imprese che in Italia nel 2010 è aumentato a 11.289, pari a 20,3 casi ogni diecimila aziende esistenti, contro 9.429 nel 2009 (17,1 ogni 10 mila) e 6.165 nel 2007 (11,2 ogni 10 mila). Nel proprio rapporto l’Ocse ha esaminato 13 Paesi e tra questi l’Italia risulta uno dei cinque in cui il numero di fallimenti è aumentato ancora nel periodo 2009-2010 (gli altri sono Ungheria, Slovacchia, Danimarca e Svizzera).
“La debole ripresa economica nel 2010 – afferma l’Ocse – non ha permesso un miglioramento significativo nelle condizioni delle aziende, come dimostra l’aumento ancora rapido dell’indicatore. Il calo delle vendite e l’irrigidimento delle condizioni di credito hanno contribuito a problemi di cash flow per le Pmi che a loro volta si sono in parte tradotti in aumenti dei tempi di pagamento. D’altra parte, dopo lo scoppio della crisi, i fornitori hanno cominciato a chiedere pagamenti più veloci: per le Pmi, i tempi sono saliti da 15 giorni nel 2008 a 17 nel 2009”.
Non è tutto, però. Mentre il governo dirotta l’attenzione sul tema della crescita che, nelle azioni fin qui intraprese riguarda anche il mercato del lavoro reso – secondo le intenzioni esplicitate nel ddl – più dinamico e inclusivo, i numeri sulla disoccupazione continuano a destare preoccupazione. Soprattutto perché – ultimi dati Istat alla mano – risultano in aumento dal 2004 coloro i quali sarebbero disposti a lavorare, ma che non cercano un impiego. “Nel 2011 – comunica infatti l’Istat – gli inattivi che non cercano un impiego ma sono disponibili a lavorare sono 2 milioni 897 mila, in aumento del 4,8% (+133 mila unità) rispetto al 2010. La quota di questi inattivi rispetto alle forze di lavoro cresce tra il 2010 e il 2011, passando dall’11,1% all’11,6%, dato questo superiore di oltre tre volte a quello medio europeo (3,6%). Il gruppo è fortemente caratterizzato dal fenomeno dello scoraggiamento: il 43% (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo. In Italia – prosegue l’istituto nazionale di statistica –, gli inattivi che non cercano un impiego rappresentano un aggregato più ampio di quello dei disoccupati in senso stretto (2 milioni 108 mila nel 2011); nella media europea, invece, i disoccupati risultano pari a più del doppio di questi inattivi. Nel 2011, gli inattivi che cercano un impiego, ma non sono disponibili a lavorare sono 121 mila unità (-4,4%, pari a 6 mila unità in meno in un anno). Si tratta dello 0,5% delle forze di lavoro (l’1% nell’Unione europea). Sommando le forze di lavoro potenziali ai disoccupati si ottengono le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo: nel 2011 si tratta di circa cinque milioni di unità. Sempre nel 2011, i sottoccupati part time sono 451 mila unità (+3,9%, pari a 17 mila unità in più rispetto al 2010) e rappresentano l’1,8% del totale delle forze di lavoro. Nell’Unione europea l’incidenza è pari al 3,6%”.
Emerge dunque un quadro di sfiducia piuttosto generalizzato che implica un maggiore impegno da parte delle istituzioni e della politica a colmare il deficit di futuro che sta coinvolgendo per lo più le giovani generazioni. Tutto questo è realtà quotidiana, da affrontare assiduamente al netto di tante astruse polemiche sull’antipolitica o discorsi affini.

F. G.

 

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