L’autoritratto di Woody Allen fra le strade di Roma
Se ci si fermasse ad un giudizio superficiale, se si guardasse distrattamene, senza troppo riflettere, l’ultima opera di Woody Allen, To Rome with love, le considerazioni non potrebbero che essere amareggiate e sprezzanti. Come infatti già molti hanno detto e scritto le cartoline di Roma, messe in scena dal regista newyorchese, potrebbero apparire così ricche di luoghi comuni e cliché da sembrare eccessive anche davanti alle famose Vacanze Romane di Gregory Peck e Audrey Hepburn. Ma Allen, dalla sua, ha un vantaggio. Un credito vantato nei confronti del pubblico che, memore della sua maestosa carriera, non si ferma ad un epidermico giudizio d’istinto. Ecco allora, che fra le pieghe di racconti da cartolina, si può scorgere qualcosa di più del semplice e macchiettistico omaggio alla Città eterna.
L’approccio di Woody Allen al racconto di (e su) Roma non è, in fondo, così diverso da quello già sperimentato, con alterni risultati cinematografici, con Londra, Barcellona e Parigi. Un approccio che anzi rientra perfettamente nei canoni espressivi e tematici di molta della filmografia alleniana. Così come fatto in Inghilterra o in Francia, Allen intreccia infatti il cliché al ricordo (anche in termini di linguaggio cinematografico), il luogo comune all’autobiografia, creando un mosaico che racconta, al tempo stesso, Roma (o meglio, l’immagine stereotipata di Roma) e il regista stesso. Come in quadro puntinista l’immagine di To Rome with love, appare, da vicino, come l’insieme di piccole cartoline, scontate e banali, proprio come quelle tanto apprezzate dai turisti americani nei negozi di souvenir della capitale. Ma allargando lo sguardo, mettendo insieme i puntini, ecco apparire chiara l’immagine di Woody Allen, che si ritaglia all’interno del film un ruolo crepuscolare, quasi ad indicare la via maestra per decodificare il suo ritratto.
Pesa probabilmente, ed è triste ammetterlo, la coproduzione italiana. Un carico così gravoso da confondere le tinte del quadro fino quasi a farne perdere la visione d’insieme. Le molte facce note (per l’avvezzo pubblico televisivo italiano) che riempiono To Rome with love appaiono infatti ingombranti, estranei ad un’analisi più profonda e al tempo stesso fin troppo integrati nelle banali immagini da cartolina. Se il ricordo di Sofia Coppola, nel grottesco quadro italiano di Somewhere, aveva ammantato di un’aura paradossale e ridicola i volti e i riti della nostre beghe di quartiere, Allen appare quasi accondiscendente nel suo cavalcare queste insipide icone di casa nostra. Ma lo sguardo del regista era probabilmente rivolto altrove, troppo lontano o troppo in profondità (nella sua stessa autoanalisi), per perdersi nel semplice scherno delle nostre scialbe abitudini.
Condivisibile, ma il film è davvero poca, poca cosa.
Succede, non è un dramma.