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La crisi in Grecia e il futuro dell’Europa

di Emanuele Canegrati

I leader europei: “Risanamento e crescita di pari passo”. Rigore e crescita, per loro natura, non sono inconciliabili. Anzi, verifiche empiriche dimostrano come i paesi che hanno bilanci in ordine siano in grado di raggiungere performance economiche superiori, nel lungo periodo. La Germania è un esempio virtuoso di come sia possibile conciliare i due aspetti. La nazione tedesca si è data delle regole costituzionali di finanza pubblica, ha fatto le giuste riforme nel mercato del lavoro ed ora ha un’economia che cresce e un tessuto produttivo molto forte. In realtà, quello che i politici europei vogliono fare in questo momento è l’esatto opposto del conciliare rigore e crescita. Con un vento politico che soffia decisamente verso il neo-socialismo in stile Hollande, si vorrebbe abbandonare il rigore imposto, sicuramente in modo eccessivo, dalla Germania, per ritornare alle politiche di deficit spending di stampo keynesiano, non accorgendosi che non esiste alcuno spazio per usare nuovamente il deficit come volano dell’economia. Tornare ad usare il deficit spending come antidoto per la crisi vorrebbe dire non aver capito nulla e mandare definitivamente a monte le finanze pubbliche europee.
G8, vertici europei ed elezioni in Grecia. Dalle riunioni fra i big ci sarebbe da aspettarsi sicuramente un tentativo di scrivere un nuovo fiscal compact in versione più soft, ovvero alleggerendo la rigidità delle regole sul deficit e sul debito. Sarebbe sicuramente auspicabile un allentamento della presa, non tanto perché il principio del pareggio di bilancio sia sbagliato, ma perché in questo momento non ci sono le condizioni economiche e finanziarie per poterlo raggiungere. La Germania quasi sicuramente dovrà cedere, dal momento che, avendo perso il suo alleato di ferro Sarkozy, si trova praticamente isolata a livello politico. La Merkel, in questo momento, è un’anatra zoppa, destinata probabilmente al suo ultimo anno da cancelliera. La vera incognita è di nuovo la Grecia, un paese che non riesce a dimostrare di avere una posizione decisa e che si sta lasciando andare al populismo più pericoloso. Probabile (ed auspicabile) una sua uscita dall’Euro. Gli ultimi due anni insegnano come sia sbagliato, e anche ingiusto per la popolazione greca, chiedere al governo di Atene di continuare ad effettuare manovre lacrime e sangue per un obiettivo di riduzione del debito che non è nelle potenzialità attuali del paese.
Le conseguenze nel caso in cui in Grecia dovessero vincere i partiti contrari alle misure di austerità concordate con Ue e FMI. Il ritorno alla dracma potrebbe essere la soluzione più probabile. Se ne stanno convincendo tutti. La recente corsa agli sportelli bancari, mostra come anche la popolazione sia oramai rassegnata all’uscita dall’Euro e si stia attrezzando per affrontare questo delicato passaggio. Col senno di poi si può dire che la Grecia avrebbe fatto meglio a non essere mai entrata nell’Euroclub. Sia per la sua economia, che per quella europea nel suo complesso. D’altronde, l’effetto contagio della finanza pubblica trova nella situazione greca la sua principale causa.

Emanuele Canegrati è Dottore di ricerca in Economia pubblica all’Università Cattolica di Milano, Visiting Researcher presso lo STICERD Center della London School of Economics dal 2006 al 2008 e presso il Luxembourg Income Study Office nel 2009. Dal 2010 giornalista per l’Occidentale ed economista per la Fondazione Magna Carta. Consulente economico per la pubblica amministrazione. Autore di diverse pubblicazioni internazionali tra le quali “Economics of Taxation” (Novascience, New York).

 

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