Speciale Cannes. E arrivò il momento di Garrone…
Giampiero Francesca
E infine giunse Garrone. Le notizie su Reality, l’ultima fatica del regista di Gomorra, si inseguivano in realtà da giorni. C’era chi gridava al capolavoro, ad un cinema che, nelle prime inquadrature “ricorda Fellini”, e c’era chi, magari scettico come da nostra triste abitudine, pareva rassegnato all’ennesima esibizione scialba del cinema Made in Itlay. La visone del film ci ha tolto ogni dubbio. Pur non trattandosi certo di capolavoro (e nemmeno dell’opera migliore di Matteo Garrone), Reality è sicuramente una pellicola ben riuscita, amara e al tempo stesso divertente, carica di quegli umori tipici della nostra migliore cinematografia.
Esteticamente ben confezionato, con un incipit di grande impatto visivo, Reality è il tipico film che necessiterebbe, quanto meno, di una seconda visione. Al di là della messa in scena impeccabile infatti la moltitudine di temi nascosti fra le pieghe del film non può essere completamente compresa dopo una prima visione. Il racconto della vita di Luciano, simpatico e pacato pescivendolo napoletano, stravolta da desiderio di entra nella casa del Grande Fratello, è infatti il pretesto ideale per parlare del rapporto fra apparenza ed essenza, della forza immaginifica della televisione, dell’impatto dei mass media sulla società, dell’illusione di liberarsi dalle montone quotidianità che attanagliano le nostre vite con un colpo di telecomando. La spirale di follia che coinvolge Luciano enfatizza questi temi, ponendo davanti a noi pesanti interrogativi, senza però porvi risposta.
Stessa sala ma genere e contesto decisamente diverso per il secondo film della giornata, il tanto atteso After the battle di Yousry Nasrallah. Al di là dei (de)meriti cinematografici il film ambientato nei giorni della rivoluzione ha il merito di aprire una finestra sugli scontri e le dinamiche di quei giorni. Il confronto fra Mahmoud, manipolato dal regime e mandato a combattere contro i rivoluzionari a Piazza Tahrir, e Reem, giovane donna moderna e indipendente è infatti il pretesto per mettere in scena la vita, la quotidianità, le realtà dell’Egitto nei giorni più caldi della primavera araba. L’opera di Nasrallah rimane così pesante nella forma, una storia d’amore dai contorni troppo vaghi e sfumati, ma sicuramente importante come documento di una storia ancora in evoluzione.
Dopo una giornata tanto piena di film complessi, ricchi di spunti di riflessione, preferiamo glissare elegantemente sul rumeno Dupã Dealuri, di Cristian Mungiu, e tenere nella mente le immagini di Piazza Tahrir, degli scontri, della storia che cambia davanti ai nostri occhi.