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Caos nel calcio: oltre il codice etico

di Jacopo Lo Jucco

Cesare Prandelli ha accettato di guidare la Nazionale italiana subito dopo la fallimentare spedizione ai Mondiali in Sud Africa. In quell’occasione Marcello Lippi, il generale che quattro anni prima ci aveva condotto verso l’inaspettata conquista della coppa più prestigiosa, esibì tutta una serie di difetti purtroppo tipici della nostra società, che effettivamente decretarono il suo “canto del cigno”; il nepotismo e l’ingiustificato favoreggiamento nei confronti di lavoratori non particolarmente meritevoli (confermati senza riserve il blocco della squadra precedente ed i giocatori della Juventus più sgonfia della storia), ostracismo smodato verso i talenti fuori dal coro (Cassano e Balotelli), attaccamento alla poltrona e superbia nel rimandare ogni critica al mittente.
L’era Prandelli è dunque iniziata sotto ogni migliore auspicio: è più facile costruire qualcosa quando si deve ripartire dalle fondamenta, piuttosto che rattoppare un’ossatura problematica. Inoltre, avendo toccato un picco di impopolarità così esagerato, non si poteva che migliorare. Prandelli ha sempre goduto dei favori dei media, è stato considerato fin dall’inizio un allenatore simpatico ed educato, pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Il “codice etico” varato nei confronti dei calciatori della Nazionale è stato accolto con entusiasmo ed in questo biennio ha riscosso grandi consensi. La mancata convocazione per chi si rende protagonista di azioni aggressive e antisportive pare una misura quasi paterna, l’ideale per accompagnare la formazione di giovani professionisti non sempre in grado di badare a loro stessi. Fino ad un paio di mesi fa.
Il commissario tecnico è infatti incappato in alcuni svarioni. Ad esempio l’aggiunta del proprio figlio allo staff della Nazionale è un faux pas quasi sconvolgente e la sua difesa a riguardo decisamente troppo flebile. All’indomani Prandelli dichiarò: “Mio figlio è nello staff della nazionale per una scelta meritocratica”. Ma un preparatore atletico che ha maturato le sue uniche esperienze nella Fiorentina e nel Parma non appare particolarmente rappresentativo dell’eccellenza della propria professione, quindi non è ben chiaro il concetto di meritocrazia utilizzato.
Tuttavia, fosse stato solo questo, si sarebbe potuto guardare oltre con serenità. Quello che però stride con il tanto celebrato codice comportamentale è la gestione delle convocazioni di Criscito e Bonucci. Entrambi indagati nella faccenda del calcioscommesse, Prandelli ha deciso di lasciare a casa il primo e di inserire nella propria lista il secondo. L’uso di due pesi e due misure è inaccettabile, particolarmente per questioni così delicate. Qui non si tratta di mere scelte tecniche che giustamente ed assolutamente non riguardano i non-addetti ai lavori, bensì di una scelta che potrebbe favorire un individuo a discapito di un altro. La spiegazione è stata ancora una volta lacunosa: “Non porto Mimmo [Criscito n.d.r.] all’Europeo perché avrebbe vissuto in questi giorni una tensione che nessun essere umano può reggere, non si può preparare e poi, restando a casa, potrà essere sentito dai magistrati”. Sarebbe stata graditissima (e, principalmente, più equa) la stessa sensibilità e lo stesso proposito anche nei confronti di Bonucci. Come potrà il giocatore prepararsi al meglio e reggere la pressione? E se i magistrati volessero sentire anche lui? Sarebbe bastato parlare di “scelta tecnica” invece che battere sui convenienti tasti di compassione e gentilezza. Il tutto condito dalle, a nostro avviso, infelici esternazioni del capitano della sua Nazionale, Buffon, che ha recentemente dichiarato che ci sono circostanze nelle quali due feriti sono meglio di un morto, spiegando come ogni tanto le squadre (anche inconsciamente) si accordino per pareggiare. Niente codice etico per lui, neppure un richiamo. Anche i paladini scendono da cavallo.

 

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