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Storie. “Un pezzo di Germania a casa”

di Fabio Germani

La Germania è l’economia trainante dell’Unione europea. In una fase delicata per la zona euro è tra i pochi Paesi a vantare un tasso disoccupazione inferiore al 6%; evidente il suo peso politico. Questo, tuttavia, non fa della Germania un’autentica isola felice. È un Paese variegato, con tante contraddizioni, soprattutto in una città eclettica come Berlino.

Partire. Andare a Berlino. Un po’ per scelta, un po’ perché capita l’occasione da cogliere all’istante. La storia di Roberta non si discosta troppo da quella di tanti altri giovani italiani, anche se non tutti sono i “cervelli in fuga” di cui si legge sui giornali. “Mi recai a Berlino per diversi motivi. Era il 2007. Dopo il diploma – ricorda Roberta – ottenni una borsa di studio nell’ambito del Progetto Leonardo. Sarei dovuta andare in Austria, poi a un mese dalla partenza un disguido mi impedisce di preparare le valigie. Ma io ero comunque intenzionata a partire e uno zio mi dice che un suo amico a Berlino ha possibilità di offrirmi un lavoro”. Così Roberta, animo ribelle (non lo nega mentre racconta la sua storia a T-Mag), non ci pensa troppo: il 23 gennaio del 2007 prende il volo per la capitale tedesca. Alle sue spalle Orvinio, un piccolo Comune in provincia di Rieti. “In quel momento mi andava stretto”, confida.
Con un diploma di scuola alberghiera (Tecnico dei servizi turistici), Roberta si ritrova a fare la commis di sala in un mega ristorante berlinese. “Ma ero più una sguattera, in realtà”. I primi mesi sono impossibili. Quando si va in Germania la prima difficoltà è farsi capire perché la lingua o la conosci o sono guai. Ed è lo stesso motivo per cui trovare amici tedeschi in poco tempo è impresa ardua. “All’inizio pensavo di non essere adeguata. I colleghi erano piuttosto scortesi con me e dovevo accontentarmi di una stanza in affitto, sebbene in pieno centro. Poi ho capito che dovevo cavarmela da sola. Ho iniziato a studiare tedesco, ho fatto tre corsi. E piano piano le cose sono andate migliorando”. Alla fine, in Germania, Roberta ci resterà cinque anni tra alti e bassi. “Ho capito cosa significa essere una cittadina straniera. La tua educazione, la tua formazione civica è pari, a volte, a quella di un bambino tedesco. Ti inizi a porre delle domande sul tuo Paese e ti accorgi che l’Italia non è male, ma che ha delle carenze evidenti. In Italia vivremmo tutti meglio se andassimo verso un’unica direzione, proprio come fanno in Germania”. Sia chiaro però che la Germania non è l’Eden. “È un posto che odi fintanto che non comprendi com’è che va la vita lì, finché non ti senti integrata negli schemi rigidi, tipici del loro modo di essere. C’è un’eccessiva burocrazia, insomma”. E poi, diciamola tutta: non è che i tedeschi abbiano tutta questa stima di noi. “Nel periodo del governo Berlusconi e del bunga bunga eravamo presi in giro abbastanza. Nei confronti degli italiani, inoltre, c’è un pregiudizio di fondo. Ci reputano ‘mammoni’, troppo legati alla famiglia. Una volta ad un colloquio di lavoro mi chiesero di tutto – perché avevo lasciato l’Italia, se mi mancasse casa –, senza interrogarmi sulle mie competenze professionali e poco importava che io sapessi parlare quattro lingue”.

A un certo punto, in effetti, Roberta sente l’esigenza di tornare in Italia. “Ho sentito la necessità di staccare. Volevo un po’ di sole e avevo trovato un’opportunità di lavoro in Sardegna”. Ma anche stavolta, ecco l’imprevisto: “Mi riferiscono che a Orvinio c’è la possibilità di rilevare una trattoria, in tanti mi suggeriscono di farlo. In principio non avrei mai voluto. Ci ho pensato un po’ e alla fine mi sono detta: ‘Forse è il momento di mettere in pratica quello che ho appreso in Germania’. Così sono tornata e mi sono rimessa in gioco”. Non una sfida da poco, anche perché il suo paese di origine non è Berlino e a parte l’estate, quando è affollatissimo, lavorare in una trattoria non è altrettanto semplice. Ma Roberta ha le idee chiare: “Stiamo ospitando, con successo peraltro, alcune mostre di quadri e fotografie. Voglio portare un pezzo di quello che ho visto in Germania a casa, diciamo”. E la sfida di Roberta non finisce qui: “Con un amico spagnolo sto accarezzando l’ipotesi di dare forma ad un progetto di albergo diffuso, in Italia o all’estero. Il turismo sta cambiando e questo modello di business può essere una grande opportunità per i prossimi anni. Anche in Germania, pur essendo la prima economia in Europa, temono la crisi. A Berlino non ne parliamo, d’altro canto è la città con il maggiore tasso di disoccupazione e soprattutto è un posto che sta ancora scoprendo la sua identità. Ho conosciuto persone che vivono in condizioni favorevoli e altre che hanno paura del futuro. Ma io credo anche che la crisi sia un fatto di testa oltre che di portafogli. E non mi voglio fermare. La vita è una fortuna e sono convinta di poter raggiungere i miei obiettivi. Vale la pena provarci, almeno”.

 

1 Commento per “Storie. “Un pezzo di Germania a casa””

  1. […] dato che fare il giornalista oggi, in Italia, non è una cosa semplicissima. Alla fine di agosto raccontammo su queste pagine la storia di Roberta, anche lei reduce da un’esperienza in Germania, a Berlino. La Germania, ci è parso di capire […]

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