Piccola guida per orientarsi nel caos pre-elettorale | T-Mag | il magazine di Tecnè

Piccola guida per orientarsi nel caos pre-elettorale

di Marco D'Egidio

E’ un esercizio difficile prevedere che cosa, a livello politico, accadrà tra pochi mesi, tra primarie dei Democratici ed elezioni. Si farà il Monti-due (come vuole il Forum Ambrosetti e sembra non volere Monti) o tornerà finalmente la politica? Berlusconi si ricandida? Chi vincerà tra Renzi e Bersani (e Vendola)? Ce la farà il Pd a rimanere il “primo partito del Paese” fino alle elezioni? Montezemolo e Giannino si alleeranno con Casini? O si candiderà Montezemolo alla guida di un nuovo polo liberale (senza fretta)? Ma Casini a che gioco sta giocando? E Grillo, quanti diavolo di voti prenderà Grillo? Lasciamo stare Di Pietro e la Lega. Ma soprattutto, con quale legge elettorale si andrà a votare? Perché tutto dipende, in definitiva, da questo.
Molte risposte a queste domande sono un azzardo, ma altre si può tentare di darle. Proviamo a individuare qualche punto fermo in questo mare.
La legge elettorale, si sa, può essere di due tipi: di quelle che permettono la formazione del governo la sera stessa delle elezioni, non appena si conosce quale coalizione o lista ha ottenuto, con adeguato premio, la maggioranza assoluta dei seggi (il Porcellum fa parte di questa categoria); oppure di quelle che rendono necessaria la contrattazione post-elettorale tra i partiti. Il Pd, bramando giustamente di andare a Palazzo Chigi, vorrebbe che la legge elettorale fosse del primo tipo, in modo che Bersani venga incoronato premier senza sorprese (Bersani, non Renzi). Tutto il resto dell’attuale maggioranza un regalo così al Pd, comprensibilmente, non lo vuole fare. Casini è sincero quando dice che “dopo Monti c’è solo Monti” (e intanto toglie il nome dal simbolo dell’Udc), perché un governo con il Pdl manco a parlarne, uno col Pd quasi quasi (non ci fosse Vendola), e comunque un po’ scoccia essere il vice di Bersani (meglio fuggire sul Colle, in questo caso). C’è sempre l’incognita Montezemolo, ma Italia Futura, che avrebbe in progetto di fare fronte comune con Fermare il declino di Oscar Giannino, non ha molta convenienza ad esaurire il suo carico di novità, e quindi la sua forza, alleandosi con i vecchi partiti di cui Casini, pur “giovane”, è uno degli storici leader. Il Pdl, che pure non può darsi per vinto, sa di non poter più vincere. Prima delle elezioni, nelle condizioni in cui si trova oggi, non potrebbe allearsi con nessuno, neppure con la Lega. Se facesse le primarie, potrebbe risollevarsi un poco, ma difficilmente da questo appuntamento emergerebbe un leader in grado di fare la necessaria rivoluzione interna nel partito e presentarsi agli elettori senza il fardello dell’ultima infelice esperienza di governo. Al Pdl non rimane che lavorare a una legge elettorale che gli permetta, se non di governare, almeno di rimanere nella maggioranza In Parlamento. Vale a dire in una Grande Coalizione. Altre forze che possano influenzare significativamente la trattativa sulla legge elettorale non sembrano esserci. Il Pd può fare la voce grossa, ricordare che “non si fanno i conti senza il primo partito nel Paese”, ma dovrà prendere atto che i conti si fanno con il primo partito in Parlamento, purtroppo. E con Casini. E con tutti gli altri. D’altronde nel 2005 il Porcellum nacque per questo: per contenere, se non impedire, il previsto governo Prodi, con un meccanismo che avrebbe favorito la formazione di due maggioranze diverse alla Camera e al Senato. Per un margine risicatissimo non fu così. La legge elettorale non è beneficenza, ma questione di interessi e numeri. L’unica accortezza consisterà nel non architettare una legge elettorale “sfacciata”, ma già il solo fatto di abrogare il Porcellum suonerà come un recupero di democrazia. Peraltro il nostro sistema politico è un sistema parlamentare, come il prof. Sartori non si stancherà mai di insegnarci, e i governi si fanno e disfanno in Parlamento.
Le probabilità di un Monti-due, l’unico governo che valga la pena di nominare se nessun governo si può formare la sera stessa delle elezioni, sono quindi alte: e sarebbe sostenuto da una maggioranza molto ampia che potrebbe andare da Berlusconi a Vendola. Ulteriori indizi sono il fatto che il più montiano di tutti i politici non ha mai chiesto a Monti di candidarsi, né con l’Udc, né con una sua lista (Monti deve rimanere un jolly), e le insistenti voci che vorrebbero l’anticipo delle elezioni a marzo, in modo che Napolitano, il cui settennato scade in concomitanza con la fine naturale della legislatura, abbia tutto il tempo di nominare il premier eventualmente dirimendo, diciamo così, le trattative post-elettorali.
Ma c’è anche un altro scenario possibile, sebbene difficile. E qui il discorso si focalizza sul Pd.
Dalle primarie uscirà non solo un candidato premier, ma anche e soprattutto un certa fisionomia del Pd e una conseguente strategia elettorale. Il Pd come gruppo dirigente si spaccherà, sicuramente se vincerà Renzi, forse se sarà eletto Bersani (ma è presumibile di no, perché fuggire subito dopo una sconfitta significa tradire quelli che ti hanno appena votato). Nelle primarie di tutto il mondo, chi perde aiuta il vincitore: in queste, se vince il Rottamatore non è dato sapere se sarà prima lui a cacciare i D’Alema, o se saranno prima i D’Alema a fuggire. Si sa solo che i D’Alema non avranno più un significativo futuro politico.
L’attuale segretario, insieme ai tanti che finora hanno parlato per lui, più di lui, propone una sorta di nuovo Ulivo, alleandosi prima delle elezioni con Vendola, e dopo, se ce ne sarà bisogno, con Casini. Come possa reggere questo governo politico così tirato tra Agenda Monti e Agenda Fassina, tra i “Diritti di Casini” e i “Diritti di Vendola”, è un mistero che solo il filosofo Cacciari, in un’intervista alla Stampa del 14 settembre, pare conoscere. Renzi, invece, propone di fare piazza pulita dell’attuale dirigenza del Pd, ma anche, conseguentemente, di creare un Pd totalmente nuovo. Quali proposte politiche (quali contenuti, come si suol dire) abbia in mente, è molto ancora da scoprire. Ma, in fondo, il camper di Renzi vuole essere un contenitore itinerante di idee provenienti dal territorio, non un’emittente mobile di promesse. Questo tour, come anche la mossa di chiedere il voto ai delusi del centrodestra, è un punto a favore del sindaco di Firenze. Non si vede come potrebbe perdere voti a sinistra, chiedendo voti a destra: poiché Bersani e Renzi, con i rispettivi entourage, costituiscono riferimenti così diversi, così antitetici, che difficilmente esistono ancora indecisi tra rottamazione e conservazione. La partita si gioca al centro dell’intero elettorato, e l’unico che può giocarla è Renzi. Bersani avrà bisogno dei voti di Vendola, per resistergli; né, d’altronde, si capisce come mai due leader che progettano di allearsi il giorno dopo le primarie debbano sottrarsi voti il giorno delle primarie, rischiando una figuraccia entrambi.
Il Pd di Renzi sarebbe equivalente a un nuovo partito, vicino a quello che il Pd doveva essere in principio, liberal e riformista, simile al Pd del Veltroni del Lingotto (e, a differenza di questo “bravo scrittore”, il sindaco avrebbe più chance di successo a lungo termine, in quanto col partito cambierebbero anche le persone che lo guidano). Il nuovo Pd potrebbe perdere voti rispetto al Pd di oggi (anche se gli elettori, non avendo interessi né poltrone, tradiscono meno dei politici quando la competizione è fatta in loro nome), ma potrebbe anche guadagnarne.
Il nuovo Pd, che pure recherebbe le stesse insegne, potrebbe scegliere alleanze mai osate prima. Non più Vendola, non certo Casini. Renzi potrebbe allearsi proprio con il nuovo polo liberale di Montezemolo e Giannino. Fermare il declino, su Twitter, ha pubblicamente corteggiato Renzi, pur chiedendogli di lasciare il Pd: il nuovo movimento, in questo modo, troverebbe un leader, e il leader avrebbe finalmente i contenuti che gli mancano. Giannino ha chiarito di apprezzare Renzi, senza però esprimere “alcun consenso alla sua azione, se e finché dichiarerà che in ogni caso il suo obiettivo resta all’interno dell’attuale perimetro del Pd”. Ma se invece dell’attuale perimetro venisse disegnato un nuovo perimetro? Le cose forse cambierebbero. D’altronde il nuovo polo non può condannarsi all’isolamento, crogiolandosi nell’illusione che le vecchie forze politiche possano essere superate – reset – “alla luce del pessimo bilancio del ventennio che abbiamo alle spalle” (citando sempre Giannino). Prima o poi dovrà dialogare (cioè allearsi, se punta a governare) con le vecchie forze politiche. Meglio se con una piattaforma nuova come il Pd di Renzi. Magari Luigi Zingales, economista di punta di Fermare il declino che l’anno scorso era alla Leopolda, può metterci una buona parola.
A questo punto servirebbero i numeri, cioè i sondaggi. Ma in questa sede non interessano. Grillo non governerà. Il Monti-due è molto probabile per istinto di sopravvivenza della vecchia politica che, non sapendo come vincere, si accontenterà di “partecipare”. Renzi potrebbe scombinare i giochi dei partiti, garantendo ai mercati l’Agenda Monti e infondendo nei cittadini speranza e fiducia nel futuro, un po’ come l’Obama di quattro anni fa, all’inizio della crisi. Chissà che con Montezemolo poi non raggiunga addirittura la maggioranza assoluta dei seggi, grazie all’ “aiutino” del futuro premio di maggioranza, se ci sarà.

 

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