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Recuperare in competitività (e fare in fretta)

di Fabio Germani

Il governo rivede al ribasso lo stato di salute dell’economia italiana. È notizia di giovedì e come spiega Palazzo Chigi in una nota sono state aggiornate “le stime sulla crescita e i conti pubblici per il periodo 2012-2015 rispetto ai dati comunicati nel Documento di economia e finanza dello scorso 18 aprile. A causa del peggioramento dello scenario internazionale, in particolare della zona euro, nel 2012 è prevista una contrazione del Pil del 2,4 per cento e nel 2013 la crescita dovrebbe essere leggermente negativa. L’anno prossimo infatti, a causa dell’effetto di trascinamento del calo registrato nel corso del 2012, è previsto una contrazione dello 0,2 per cento. Nel 2014-2015, invece, è prevista una crescita rispettivamente dell’1,1 per cento e dell’1,3 per cento grazie all’aumento della domanda interna ed esterna in virtù degli effetti positivi delle riforme strutturali per rilanciare l’economia”.
È in un quadro del genere, dunque, che le prossime azioni dell’esecutivo, incentrate su sviluppo e crescita, dovranno essere lungimiranti e capaci di porre le basi per il prosieguo di un’agenda che miri ad una ripresa costante e duratura. Perché a ben vedere ciò che manca al nostro Paese – ciò che è mancato al nostro Paese – è un grado di competitività a livelli soddisfacenti. L’Italia, quasi inutile starlo a ripetere, presenta una serie di ritardi strutturali che ci hanno fatto perdere posizioni rispetto ai partner europei e ai competitori internazionali. La classifica del Global Competitiveness Report 2012-2013, presentata alcuni giorni fa dal World Economic Forum, parla chiaro: siamo al 42esimo posto per competitività, dietro la Spagna (36esima posizione) e soprattutto alle spalle di Paesi quali Porto Rico, Oman, Estonia, Thailandia e Panama. Le maggiori “accuse” rivolte all’Italia riguardano il mercato del lavoro ritenuto sempre rigido e alcune lacune sul piano istituzionale, dove in particolare la corruzione (tante le volte che lo abbiamo sottolineato su queste pagine) è il problema più grave da affrontare. I parametri contemplati nel Global Competitiveness Report riguardano la qualità delle istituzioni (dalla burocrazia alla corruzione, appunto), le infrastrutture, il contesto macroeconomico, sanità ed educazione (primaria, superiore e formazione), mercato del lavoro e mercato finanziario, le capacità tecnologiche presenti, innovazione. In questi ambiti Svizzera e Singapore occupano rispettivamente il primo e il secondo posto. Poi, tra i primi dieci, figurano Paesi del Nord Europa: Finlandia, Svezia, Olanda, Germania e Regno Unito.
In generale non c’è molto altro da aggiungere. Basti pensare che per qualità complessiva delle infrastrutture (tra le voci annoverate strade, rete elettrica e ferrovie) siamo all’82esimo posto.
Inutile girarci intorno, necessitiamo di investimenti e innovazione. C’è ancora molto da fare.

 

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