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Il restauro della Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio

di Stefano Di Rienzo

Attualmente presso il Museo regionale di Messina è in corso una mostra dal titolo “La Resurrezione di Lazzaro” uno dei più importanti dipinti eseguiti in Sicilia da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio che sarà esposto dal 25 Luglio 2012 fino al 25 Novembre 2012 presso il Museo Interdisciplinare “Maria Accascina” di Messina. L’opera è stata esposta a conclusione di un restauro durato sette mesi presso i laboratori dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del Ministero dei Beni Culturali, che ha visto al lavoro la direttrice Anna Maria Marcone con le colleghe Carla Zaccheo ed Emanuela Ozino Calligaris.
L’opera di grandi dimensioni (380×275) è stata commissionata dal mercante genovese Giovan Battista Lazzari nel 1608 e collocata nella cappella di famiglia nel 1609 presso la chiesa dei Padri Crociferi di Messina, venne eseguita da Caravaggio durante la sua permanenza siciliana, fuggiasco dopo l’invasione del Forte Sant’Angelo a Malta dove era in attesa di giudizio per i gravissimi fatti criminosi in cui era stato coinvolto a Roma. La tela verrà ricollocata accanto “all’Adorazione dei Pastori” (1609) l’altro grande capolavoro di Caravaggio custodito a Messina ed eseguito per i padri cappuccini alcuni mesi dopo “La Resurrezione di Lazzaro”.
Nell’esposizione saranno presenti numerosi pannelli didattici che illustreranno le varie fasi del restauro eseguito in accordo con il Museo Regionale di Messina e realizzato grazie all’Associazione Culturale Metamorfosi che ha curato anche l’esposizione del dipinto a Palazzo Braschi a Roma (16 Giugno 2012-15 Luglio 2012); inoltre la mostra si avvale della proiezione di filmati d’epoca e di DVD delle fasi più interessanti del trasporto e dell’intervento.
A sessant’anni dal precedente intervento conservativo datato 1951 ed eseguito sotto la supervisione di Cesare Brandi, “La Resurrezione di Lazzaro” è ritornata sotto gli occhi e tra le mani degli esperti che hanno potuto approfondire le ricerche e sciogliere le problematiche all’epoca irrisolte grazie all’evoluzione dei metodi diagnostici delle tecniche di intervento e dei materiali da impiegare per la pulitura. Su questa tela a pochi decenni dalla sua esecuzione si erano infatti già riscontrati problemi conservativi, spicca un episodio su tutti (non è chiaro se sia reale o romanzesco), che racconta a titolo esplicativo che nel 1670 il primo restauratore Andrea Suppa accingendosi alla pulitura con semplice acqua si trovò ad asportare del colore nero (evidente segnale di preparazione del fondo), forse dovuto ai tempi ristretti di esecuzione e consegna; il restauratore accusato di aver danneggiato il prezioso dipinto morì di dolore.
Il nuovo intervento conservativo del capolavoro caravaggesco eseguito subito dopo la rocambolesca fuga da Malta, ha restituito leggibilità all’intera raffigurazione e messo in luce particolari fondamentali, ormai nascosti sotto la patina del tempo: come il profilo del Cristo, le braccia spalancate di Lazzaro smaniose di vita dopo il rigore della morte, l’autoritratto di Caravaggio confuso tra la piccola folla che assiste al miracolo.
La tela di fortissima suggestione e ottima espressione con quel gioco di luci e ombre che ha reso celebre l’artista rappresenta secondo quando scrive Giovan Pietro Bellori (storico dell’arte, biografo più importante del Barocco italiano) nel volume seicentesco “Le Vite dei Pittori Scultori Architetti Moderni”: “Lazzaro apre le braccia alla voce di Cristo che lo chiama, estende verso di lui la mano. Piange Marta e si meraviglia Maddalena, e vi è uno che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore del cadavero. Il quadro è grande e le figure hanno il campo di una grotta, col maggior lume sopra l’ignudo di Lazzaro e di quelli che lo reggono ed è sommamente in istima per la forza dell’imitazione. Ma la disgrazia di Michele non l’abbandonava e il timore lo scacciava di luogo in luogo”.
La tela mostra i personaggi di questo evento miracoloso ristretti in primo piano su uno sfondo scuro che lascia immaginare l’ambientazione architettonica di una chiesa. La raffigurazione del Cristo con il volto in ombra e l’indice puntato imperiosamente verso il corpo di Lazzaro (ancora rigido e gonfio) ricorda l’altra grande opera di Caravaggio “La Vocazione di S. Matteo” (1599-1600) nella Cappella Contarelli in San Luigi de Francesi, opera a sua volta ispirata al gesto della “Creazione di Adamo” (1511) di Michelangelo. La tristezza delle espressioni rimanda alla “Deposizione”(1559) dell’ultimo Tiziano eseguita per la propria tomba: il volto centrale rivolto verso il Cristo con la fronte aggrottata e la bocca semiaperta che racconta il miracolo nell’espressione di stupore. Due proiezioni indietro nel tempo, una consuetudine nelle opere tardive di Caravaggio che usava riutilizzare motivi compositivi del repertorio figurativo precedente.
Dopo otto mesi di restauro il pubblico ritrova un capolavoro che nel corso dei secoli non ha mai smesso di far parlare, affascinare, coinvolgere, come del resto la maggior parte delle opere di Caravaggio.

 

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