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Le primarie e le istruzioni per l’uso

Pubblichiamo di seguito uno stralcio del libro di Mauro Terlizzi, "Primarie - Istruzioni per l'uso" (l'Ornitorinco Edizioni, 2012)
di Mauro Terlizzi

Sul carattere “parziale” e “di parte” delle primarie, meglio ribadire: questa modalità politica, è pre-elettorale e non elettorale, cioè propedeutica all’effettiva proposta da sottoporre a tutti i cittadini per il governo delle comunità, siano esse locali o nazionali. Non può mai sostituire, quindi, l’elaborazione politica e la conseguente azione ma solo incentivarle e perfezionarle attraverso la selezione “pubblica” dei migliori “interpreti” e rappresentanti delle stesse e non può mai essere totalmente “aperta”, pena, tra l’altro, il rischio di “inquinamento” da parte degli avversari.
Ciò significa, inoltre, che anche nelle ipotesi più estreme e “totalizzanti”, come negli Usa, non bastano le urne delle primarie per costruire una politica complessiva e che le campagne elettorali non possono sostituire l’elaborazione e la vita culturale delle organizzazioni politiche. Non sfugga, sempre riguardo gli Usa, che il risultato delle primarie “presidenziali”, democratiche o repubblicane che siano, deve essere sempre ratificato da un congresso di delegati (le famose Conventions di fine agosto), eletti nei singoli Stati in rappresentanza dei candidati presidenti, cui si aggiungono “grandi elettori” con diritto di voto diretto (senatori e deputati nazionali, governatori, sindaci di grandi città in carica e dirigenti di partito) che, in teoria, hanno il potere di ribaltare il risultato uscito dai seggi e dai “caucus”.
Per questo le campagne di comunicazione dei candidati alle primarie sono strutturate su linguaggi “di parte”, cioè rivolte ad una base elettorale già convinta della bontà di stare in un determinato “campo” e che, attraverso il proprio voto, è alla ricerca della leadership più forte e convincente che la rappresenti e la faccia vincere. Per questo non possono sostituire l’elaborazione programmatica da offrire all’intera comunità, nazionale o locale.
Confondere le primarie con le elezioni effettive, comporta un flop comunicazionale e politico davvero clamoroso: il proprio “popolo” vuole identificarsi con il miglior leader e farlo con orgoglio di appartenenza, non vuole ricette “generali” ma scelte esistenziali e strumenti “culturali” per mettere nell’angolo e zittire gli avversari dell’altro “campo” […].

Un partito che si basa sugli elettori, diventa un partito che si struttura sugli eletti. Se gli elettori delle primarie prendono il posto dei militanti e dei simpatizzanti di un tempo, gli iscritti al partito diventano “serbatoio” privilegiato di futuri candidati e macchina organizzativa, di propaganda e supporto agli eletti locali e nazionali. Metodi “promiscui” di vita di partito e formazione delle liste portano fatalmente ad uno stato di frustrazione e conflitto interno.
In questa chiave di lettura, l’automatismo segretario nazionale / candidato premier risulta ancora più chiaro. Essere coscienti di questo processo “evolutivo”, a mio avviso, permetterebbe ai partiti nostrani di rivoluzionarsi e adeguarsi, uscendo dalla crisi di rappresentanza e vicinanza alla base elettorale che li contraddistingue, a destra come a sinistra.
Ancora una volta gli Stati Uniti ci permettono di chiarire meglio questo passaggio: oltre oceano, l’attività politica è, essenzialmente, voto su tutto, dal presidente ai giudici distrettuali, passando per gli sceriffi e i consiglieri scolastici, fino a referendum sui più svariati temi. Così la vita dei partiti è, sostanzialmente, quella di grandi comitati elettorali e macchine organizzative e di raccolta fondi […]. La politica con la “P” maiuscola, in realtà, si forma attraverso una triangolazione, virtuosa se bilanciata, nefasta se squilibrata, tra soggetti interconnessi: partiti, fondazioni (di ricerca, studio e elaborazione), movimenti civili e rappresentanze organizzate d’interessi indipendenti (etnici, di genere, sociali, culturali ed economici). Questi ultimi, per il loro peso sull’opinione pubblica e / o per quello economico (la politica costa sempre un sacco, ovunque!), “scalano” i partiti attraverso le loro primarie e cercano così di condizionarne la politica grazie agli eletti nelle istituzioni di ogni ordine e grado. Perché, sia chiaro, i “capi” politici dei partiti sono gli eletti degli stessi nelle varie Istituzioni e ne determinano “la linea” maggioritaria, coadiuvati dalle fondazioni “di area” e da staff dedicati […].

Naturalmente, per i partiti americani, come anche in Francia o in Sud America, con i dovuti distinguo, valgono le multicandidature interne per il semplice fatto che il sistema istituzionale ed elettorale di quei paesi è presidenziale e maggioritario e riconduce a sintesi qualsiasi competizione interna, anche di coalizione. In un sistema parlamentare come il nostro, con un premier indicato e non eletto la sintesi deve essere trovata necessariamente a monte delle primarie e non a valle, per evitare il rischio di defezioni, spaccature e scontri alle elezioni effettive […]. Insomma, se fatte bene e con piena coscienza delle implicazioni, le primarie si possono dimostrare un forte strumento di emancipazione e sviluppo della partecipazione democratica attiva. Se fatte tanto per farle, più per vezzo “modernista” e “americaneggiante” che per convinzione politica, si possono trasformare in un vero e proprio disastro. E in Italia il rischio è sempre dietro l’angolo…

Mauro Terlizzi, consulente di marketing e comunicazione politica, da anni cura la realizzazione di campagne elettorali per partiti, liste e singoli candidati, in Italia e all’estero.
Formatore, conferenziere e consulente di comunicazione per Istituzioni e Pubbliche Amministrazioni, è autore di quattro edizioni del “Vademecum del candidato (1994/1998), del “Vademecum per Elezioni Amministrative” e, insieme a Carlo Buttaroni, di “Nel labirinto elettorale”.

 

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