Il sesto giorno al Festival internazionale del film di Roma | T-Mag | il magazine di Tecnè

Il sesto giorno al Festival internazionale del film di Roma

di Fabio Francesca

Oggi è stata la giornata più attesa, quella della grande star del Festival. Oggi è stata la giornata di Sylvester Stallone. Il divo italo-americano è venuto portando con se Bullet to the head del grande Walter Hill. Classico film d’azione incentrato sul gioco di coppia criminale-sbirro, in stile 48 ore dello stesso Hill (qui invece del poliziotto afro-americano Eddie Murphy troviamo il coreano Sung Kang). Un invecchiato ma sempre brillante Sly antepone al ruolo di macho una vena ironica alla Die Hard che pervade tutto il film, raggiungendo il suo apice nel inverosimile duello finale. Infatti, come sa chi conosce bene il genere, la vera forza dell’action movie sta proprio nell’irrisione e nel dileggio della figura dell’eroe. Un’idea di facezia che decisamente ( e sciaguratamente ) è fino ad ora mancata a questo festival.
Attraversando il globo è arrivato un altro grande maestro dell’action, nonché aficionado dei festival di tutto il mondo, il maestro di Hong-Kong Johnnie To. La sua nuova opera Drug’s war, dobbiamo dirlo per onor di cronaca, non ci è parsa delle più innovative, anzi ripercorre tutti i topoi dei film precedenti di To. Comunque agli appassionati dei film di azione made in HK il finale sicuramente non deluderà: una lunghissima sparatoria con inseguimenti in macchina, morti ammazzati come se piovessero e svariati colpi di scena. La nota dolente del film è più che altro lo svolgimento con un trama piuttosto intricata e vari scambi di ruoli tra i protagonisti che non ne facilitano la comprensione. Tutto sommato, dato il livello basso del concorso di quest’anno, anche un’opera minore di un grande regista è accolta con estremo gradimento.
Un film merita una citazione dato il triste riaccendersi proprio in questi giorni del conflitto israelo-palestinese. Si tratta di Sono entrato nel mio giardino del regista israeliano Avi Mograbi. La pellicole è una diario\documentario della preparazione di un film. L’opera si incentra sui dialoghi del regista e di un professore arabo\israeliano e sui loro (e della loro famiglia) ricordi di quando tra i paesi arabi e Israele non esistevano confini ed erano tutti un solo “grande giardino”. Un messaggio di fratellanza,che adesso più che mai, risulta di straordinaria urgenza.
Vorremmo invece poter glissare sulla terza fatica di Paolo Franchi, E la chiamano estate, presentata in concorso. Vorremmo non commentare un’opera tanto mal riuscita da risultare quasi irritante. Ma presentare un film in concorso significa anche prendersi la responsabilità di esporlo alle critiche, positive o negative che siano. E allora non si può non parlare di una sceneggiatura approssimativa, che trasforma un dramma esistenziale in una commedia involontaria, una fotografia approssimativa, una regia assente, incapace di gestire un cast che appare quasi sempre allo sbaraglio. Dispiace, ma davanti ad opere così, non si può davvero far finta di niente.
Domani giornata di riflessioni dedicati a due autori del cinema europeo: Jacques Doillon e Kira Muratova.

 

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