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In Italia ci si sposa sempre meno e sempre più tardi

Prime nozze sempre più rare e tardive
Le nozze tra celibi e nubili, nonostante la forte flessione, continuano ad essere la quota più rilevante del totale delle celebrazioni (il 93,5% nel 1972 e l’85% nel 2011). I primi matrimoni, in valore assoluto, sono passati da quasi 392 mila nel 1972 a 173.782 nel 2011: di questi, 155.395 si riferiscono a celebrazioni in cui entrambi gli sposi sono cittadini italiani (l’89% del totale dei primi matrimoni). È proprio la forte riduzione di quest’ultima tipologia di matrimoni registrata negli ultimi quattro anni (circa 37 mila in meno) a contribuire maggiormente al calo delle nozze osservato nello stesso periodo.
La propensione a sancire la prima unione con il vincolo del matrimonio si misura attraverso il calcolo dei tassi di primo-nuzialità, che consentono di rapportare gli sposi celibi e nubili per età alla corrispondente popolazione maschile e femminile: nel 2011 sono stati celebrati 437 primi matrimoni per 1.000 uomini e 487 per 1.000 donne, valori inferiori di circa il 17% rispetto al 2007. A diminuire sono quasi esclusivamente i tassi di primo-nuzialità dei giovani al di sotto dei 35 anni, ovvero nella età in cui si concentra il fenomeno, mentre nelle età successive la propensione al matrimonio è in lieve aumento. Si osserva, pertanto, un accentuazione del rinvio delle prime nozze ad età più mature: tale fenomeno è in atto dalla metà degli anni ’70, ma negli ultimi quattro anni si è fatto ancora più marcato. Attualmente, gli sposi al primo matrimonio hanno, in media, quasi 34 anni e le spose quasi 31, circa sette anni in più rispetto ai valori osservati nel 1975.
La minore propensione a sancire con il vincolo matrimoniale la prima unione è da mettere in relazione anche con la progressiva diffusione delle unioni di fatto, che da circa mezzo milione nel 2007 sono arrivate a quota 972 mila nel 2010-20111. In particolare, sono proprio le convivenze more uxorio tra partner celibi e nubili ad aver fatto registrare l’incremento più sostenuto, arrivando ad un numero pari a 578 mila nel 2010-2011.
La conferma di questo mutato atteggiamento viene dalle informazioni sulle coppie di fatto con figli. L’incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è in continuo aumento: nel 2011 un nato su 4 ha i genitori non coniugati.
Accanto alla scelta dell’unione di fatto come modalità alternativa al matrimonio, sono in continuo aumento le convivenze pre-matrimoniali, le quali possono avere un effetto sulla posticipazione del primo matrimonio. Ma è soprattutto la sempre più prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle prime nozze. Nel 2010-2011 vivono nella famiglia di origine il 50% dei maschi e il 34% delle femmine tra 25 e 34 anni di età. Questo fenomeno è dovuto a molteplici fattori: all’aumento diffuso della scolarizzazione e all’allungamento dei tempi formativi, alle difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e alla condizione di precarietà del lavoro stesso, alle difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, condizioni queste prese in considerazione nella decisione di formare una famiglia e considerate sempre più vincolanti sia per gli uomini che per le donne4. L’effetto di questi fattori è stato amplificato negli ultimi quattro anni da una congiuntura economica sfavorevole che ha colpito in particolare i giovani nell’occupazione e che ha contribuito ad accentuare un diffuso senso di precarietà e di incertezza che ha impattato negativamente anche sui comportamenti nuziali. La nuzialità, infatti, a differenza di altri fenomeni demografici, come ad esempio la fecondità, è particolarmente sensibile a fenomeni congiunturali.
A questo proposito è interessante valutare come è cambiata la propensione al primo matrimonio considerando il livello di istruzione degli sposi, una caratteristica che da un lato è riconducibile allo status socio-economico e dall’altro è associata a comportamenti differenziali in merito alle modalità di formazione della famiglia. Confrontando i tassi di primo-nuzialità rispettivamente degli sposi e delle spose con basso livello di istruzione (fino alla licenza media) e di quelli con livello medio alto, si conferma una riduzione generalizzata della propensione a sposarsi. La flessione è, tuttavia, più accentuata per gli sposi e le spose con basso livello di istruzione. Tra il 2003 e il 2011, ad esempio, i tassi di primo-nuzialità degli sposi con basso titolo di studio sono diminuiti del 27% per gli uomini (da 612 primi matrimoni per mille a 447) e del 32% per le donne (da 739 a 506). Nello stesso periodo, per gli sposi con livello di istruzione medio-alta la diminuzione è stata del 19% per gli uomini e del 16% per le donne.

Lieve ripresa dei matrimoni con almeno uno sposo straniero

Tra il 2008 e il 2010 si registra una battuta d’arresto nella tendenza all’aumento dei matrimoni con almeno uno sposo straniero: nel 2011 si osserva una lieve ripresa del fenomeno. Sono state, infatti, celebrate quasi 27 mila nozze con almeno uno sposo straniero (pari al 13% del totale dei matrimoni), circa 1.500 in più rispetto al 2010, ma oltre 10 mila in meno a confronto al picco di massimo del 2008 (36.918 matrimoni pari al 15% del totale delle celebrazioni).
Sono diminuiti soprattutto i matrimoni misti, ovvero le nozze in cui un coniuge è italiano e l’altro straniero: 18 mila celebrazioni nel 2011, 5.555 in meno rispetto al 2007. La diminuzione osservata nei matrimoni con almeno uno sposo straniero ha interessato tutte le aree del Paese: se, a livello nazionale, la flessione è stata pari al 27,9%, la diminuzione è stata più accentuata nel Sud (-33,1%). A subire una drastica riduzione sono stati i matrimoni misti in cui la sposa è cittadina italiana e lo sposo è straniero (-49,2% a livello Italia, -61% nel Sud).
Il calo dei matrimoni con almeno uno sposo straniero osservato nel 2009-2010 è soprattutto da ricondurre all’introduzione dell’art. 1 comma 15 della legge n. 94/2009, che ha imposto allo straniero che volesse contrarre matrimonio in Italia l’obbligo di esibire, oltre al tradizionale nullaosta (o certificato di capacità matrimoniale), anche “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. L’impossibilità, in molti casi, di poter attestare tale regolarità ha influenzato le decisioni dei futuri sposi, inducendoli a rinunciare alla celebrazione del matrimonio in Italia e eventualmente facendoli optare per sposarsi all’estero. La successiva sentenza di illegittimità costituzionale relativamente alla richiesta esibizione del permesso di soggiorno ai fini del matrimonio6, emessa dalla Corte Costituzionale a Luglio del 2011, è verosimilmente alla base della lieve ripresa del fenomeno.
La frequenza dei matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro. Nel Nord-est, in particolare, quasi un matrimonio su 5 ha almeno uno sposo straniero, mentre il minimo si registra al Sud e nelle Isole, con proporzioni pari rispettivamente al 6,5% e al 5,7% del totale delle unioni.

Nel Nord uno sposo italiano su 10 convola a nozze con una donna straniera

I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a 18 mila nel 2011 e rappresentano la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (68%). Nelle coppie miste, la tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera; questo tipo di matrimoni riguarda il 7,2% del totale delle celebrazioni a livello medio nazionale (14.799 nozze celebrate nel 2011) e il 10% nel Nord. Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 3.206 nel 2011, l’1,6% del totale delle spose. E’ proprio quest’ultima la tipologia di unioni che ha subito la flessione più marcata in seguito alle variazioni normative precedentemente richiamate.
Uomini e donne mostrano una diversa propensione a contrarre matrimonio con un cittadino straniero non solo in termini di frequenza, ma anche per quanto riguarda alcune importanti caratteristiche degli sposi, come la cittadinanza.
Il fenomeno dei matrimoni misti riguarda in larga misura coppie in cui la sposa o lo sposo provengono da un paese a forte pressione migratoria. Gli uomini italiani che nel 2011 hanno sposato una cittadina straniera hanno nel 17,7% dei casi una moglie rumena, nel 9,9% un’ucraina e nel 7,6% una brasiliana. Le donne italiane che hanno sposato un cittadino straniero, invece, hanno scelto più spesso uomini provenienti dal Marocco (10%) e dall’Albania (8,1%). I casi in cui la sposa è italiana e lo sposo è tunisino o egiziano sono diminuiti drasticamente a partire dal 2008, al punto da cedere la loro posizione di vertice nella graduatoria a cittadinanze come Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia.

Tra le coppie rumene la percentuale più alta di matrimoni celebrati in Italia

I casi in cui entrambi gli sposi sono stranieri continuano a rappresentare una minoranza (il 4,2% dei matrimoni totali) e si dimezzano quando si considerano solo quelli in cui almeno uno dei due sposi è residente in Italia. Il nostro Paese esercita, infatti, un’attrazione per numerosi cittadini provenienti soprattutto da paesi a sviluppo avanzato, che lo scelgono come luogo di celebrazione delle nozze.
I più diffusi sono i matrimoni tra rumeni (864 matrimoni nel 2011, pari al 19% del totale dei matrimoni tra sposi stranieri), seguiti dai nigeriani (567, il 12%) e dai cinesi (526 matrimoni, l’11%). All’opposto alcune comunità immigrate, altrettanto numerose, si sposano in Italia meno frequentemente, come ad esempio nel caso dei cittadini marocchini o albanesi. Le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità. In molti casi i cittadini immigrati si sposano nel paese di origine e i coniugi affrontano insieme l’esperienza migratoria, oppure si ricongiungono nel nostro Paese quando uno dei due si è stabilizzato.

In flessione anche le seconde nozze, che si confermano più frequenti al Centro e al Nord

Le seconde nozze sono leggermente diminuite, passando da 34.137 del 2008 a 31.048 del 2011 (3.089 in meno, -9%). Quasi due terzi di questa diminuzione sono spiegati dal calo dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (pari a 8.230 seconde nozze nel 2011, 1.961 in meno rispetto al 2008), l’altro terzo è invece dovuto al minor numero di celebrazioni relative a cittadini entrambi italiani (22.818 nel 2011, 1.128 matrimoni in meno, pari a -5% rispetto al 2008). Si tratta, dunque, di una riduzione contenuta, senza effetti in termini di incidenza relativa del fenomeno: nel 2011 la percentuale di matrimoni successivi al primo è pari al 15,2% del totale dei matrimoni, in aumento rispetto al 13,8% registrato nel 2008.
Le percentuali più elevate di matrimoni con almeno uno sposo alle seconde nozze si osservano, nell’ordine, in Valle d’Aosta (26% del totale delle celebrazioni), in Liguria (25,3%), in Friuli-Venezia Giulia (25%), in Abruzzo (24,6%), in Piemonte (23,4%), in Emilia-Romagna (21,2%) e nella provincia autonoma di Bolzano (20,2%). All’opposto si collocano la Basilicata (4,8%), la Calabria (6,1%), la Campania (6,2%), il Molise (6,4%) e la Puglia (7%), con percentuali più che dimezzate rispetto al valore medio nazionale. I matrimoni successivi al primo sono più diffusi laddove si registrano i tassi di divorzio più elevati, ovvero nelle regioni del Nord e del Centro8.
Gli uomini si risposano in media a 49 anni se sono divorziati e a 63 se sono vedovi, mentre le donne hanno, alle seconde nozze, mediamente 44 anni se divorziate e 51 anni se vedove.
La tipologia più frequente tra i matrimoni successivi al primo è quella in cui lo sposo è divorziato e la sposa è nubile (più di 11 mila nozze, il 5,5% dei matrimoni celebrati nel 2011), mentre sono poco più di 9 mila (4,4% del totale) le celebrazioni in cui è la sposa ad essere divorziata e lo sposo è celibe. Questi matrimoni avvengono quasi sempre con il rito civile; possono infatti essere celebrati con rito religioso solo quelli in cui il primo matrimonio era stato celebrato in Comune e quelli in cui, oltre all’annullamento degli effetti civili, si è ottenuto anche l’annullamento religioso del matrimonio.

Cresce la percentuale di matrimoni civili

Nel 2011 sono stati celebrati con il rito civile 80.387 matrimoni, 10.254 in meno rispetto al 2008 (- 11,3%). La differenza è dovuta in larga misura alla riduzione dei matrimoni con almeno uno sposo straniero: ben 9.333 in meno rispetto al 2008 (-29,2%). In termini relativi, tuttavia, la percentuale dei matrimoni celebrati civilmente ha registrato un aumento rispetto al 2008 (dal 37% al 39%). Il dato medio nazionale nasconde profonde differenze territoriali. Al Nord, per la prima volta, la quota di matrimoni celebrati con il rito civile (52%) ha superato quelli religiosi; al Centro si arriva al 47%, mentre nel Mezzogiorno questa proporzione è del 23%. Solo 15 anni fa l’incidenza dei matrimoni civili non arrivava al 20% del totale delle celebrazioni; l’aumento di questa quota è uno dei tratti più evidenti del mutamento in atto nell’istituzione matrimoniale. La scelta sempre più frequente del rito civile è da attribuire in parte alla crescente diffusione sia dei matrimoni successivi al primo, sia dei matrimoni con almeno uno sposo straniero. Questa scelta, tuttavia, riguarda sempre più spesso anche le prime unioni: nel 2011 il 30% delle nozze tra celibi e nubili è stato celebrato in questo modo (37.332 nozze). Considerando solo quelle in cui gli sposi sono entrambi italiani, l’incidenza è pari a quasi uno su quattro, una proporzione più che raddoppiata in 15 anni.
Osservando la distribuzione geografica della quota dei primi matrimoni celebrati con rito civile di sposi entrambi italiani è possibile analizzare la diffusione sul territorio dei nuovi comportamenti familiari: nel 2011 scelgono di celebrare le prime nozze con il rito civile il 31% degli sposi italiani che risiedono al Nord, il 29% di quelli che risiedono al Centro e il 16% degli sposi residenti nel Mezzogiorno.
A livello provinciale, la più alta proporzione di matrimoni civili si trova a Livorno e Trieste (62,5%), Massa-Carrara (56,5%), Bolzano (56%), seguite da Genova e Ferrara (55,7%), Grosseto (55,3%) e Udine (55,1%). Queste stesse province si trovano in larga parte anche ai vertici della graduatoria relativa alla quota di primi matrimoni civili tra sposi italiani per cento primi matrimoni di italiani. In testa sempre Livorno (48,2%), seguita da Bolzano (47,4%). Grosseto, Genova e Ferrara, rispetto alla prima graduatoria considerata, presentano in questo caso proporzioni un po’ più contenute (rispettivamente 36,3%, 36,7% e 39,6%).
Nel Nord la maggiore presenza straniera e/o la quota più elevata di seconde nozze rispetto al resto del Paese tende a far aumentare la proporzione dei matrimoni civili. Da notare la percentuale particolarmente elevata di matrimoni civili nelle province liguri e piemontesi. Infine, nel Mezzogiorno si segnala il caso della Sardegna dove, in quasi tutte le province, si riscontra un’ampia diffusione di matrimoni civili anche da parte dei cittadini italiani alle prime nozze.
La scelta del rito civile per la celebrazione del primo matrimonio si è progressivamente diffusa in tutti gli strati della popolazione, sebbene con ritmi di incremento differenziati. A questo proposito è interessante quanto emerge quando si distinguono gli sposi italiani per livello di istruzione.
La serie storica mostra che dalla metà degli anni ’90, in concomitanza con l’estendersi dei comportamenti secolarizzati a tutte le fasce della popolazione, si è invertita la relazione tra livello di istruzione e incidenza dei primi matrimoni civili; questi ultimi, infatti, sono aumentati di più per gli sposi che hanno conseguito al massimo la licenza media rispetto ai laureati.
Nel 2011 hanno scelto la cerimonia in comune circa il 30% degli sposi con un livello di istruzione basso, il 22% di quelli con un livello medio e il 20% dei laureati. Se si considerano i residenti al Nord si giunge quasi al 40% di prime nozze con rito civile per gli sposi e al 43% per le spose con basso livello di istruzione.

Gli sposi preferiscono la separazione dei beni

La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni è un fenomeno in rapida crescita. Nel 2011 l’incidenza dei matrimoni in regime di separazione dei beni è pari al 66,9%. Dopo anni di forti differenze territoriali caratterizzate da una maggiore prevalenza della separazione dei beni al Centro Nord, si tratta ormai di un fenomeno ampiamente diffuso.
Considerando la distribuzione per livello di istruzione degli sposi rispetto alla scelta del regime di separazione dei beni, si può notare come, passando dal livello più basso a quello più elevato, aumenti la quota di coloro che propendono per questa opzione: dal 64% degli sposi con titolo basso (63% delle spose) al 68% degli sposi con titolo medio (67% delle spose) per giungere, infine, al 70% per entrambi gli sposi con titolo alto.

Fonte: Istat

 

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