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In Italia più di sette bambini su 100 vivono in povertà

In Italia più di 7 bambini e ragazzi su 100 vivono in condizioni di povertà assoluta: tutti insieme compongono un esercito di circa 720 mila minori impossibilitati ad accedere a uno standard di vita minimamente accettabile.
Un esercito dislocato in gran parte nelle regioni del Sud – dove si annovera un plotone di 417 mila bambini in questa condizione, pari alla somma dell’intera popolazione minorile di Napoli, Palermo, Bari, Foggia e Reggio Calabria – e dato significativamente in crescita nel 2011 rispetto all’anno precedente con un aumento nell’ordine di 75 mila nuovi piccoli grandi poveri (una quota equivalente a tutti i minori di Messina e Taranto messi insieme).
L’ultima indagine dell’Istat sui consumi delle famiglie italiane conferma che la povertà minorile è un insidiosissimo baco annidato nel software di promozione e cura dell’infanzia, un difetto d’origine che investe circa 440 mila famiglie con bambini in povertà assoluta e ben 1 milione di famiglie in povertà relativa. Che di vero e proprio bug si tratti, lo dimostra il fatto che in Italia, in misura superiore di quanto non accade nella grande maggioranza dei paesi europei, la povertà colpisce innanzitutto le famiglie con minori: l’incidenza media nazionale delle famiglie in povertà relativa passa dall’11,1% al 16,2% quando in famiglia vi sono dei bambini, mentre la povertà assoluta sale dal 5,2% al 6,6%.
In altre parole la povertà colpisce alla radice il sistema stesso di sviluppo del paese: per un numero crescente di famiglie mettere al mondo dei figli è ormai sinonimo di povertà, un vero e proprio azzardo. E il disagio, in questo caso, è più percepibile nelle regioni del Nord.
Lo spread delle famiglie con minori, e il generale aggravamento del fenomeno tra il 2006 e il 2010 in corrispondenza della crisi economica, emerge anche se si cambia unità di misura: secondo un’elaborazione dei dati della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie, quasi 1 minore su 4 è a rischio povertà – il 22,6%, il valore più alto registrato negli ultimi 15 anni – con uno scarto di 8,2 punti rispetto all’incidenza media della povertà sul totale della popolazione (14,4%).
Nel periodo indicato, inoltre, l’incremento è stato maggiore tra i minori rispetto al totale della popolazione: se la povertà è aumentata dell’1,2%, l’incidenza di povertà minorile è cresciuta del 3,3%. Oltre all’incidenza sarebbe in forte aumento anche l’intensità, passata dal 28,1% del 2006 al 35,1% del 2010 (+7%).
Il bug delle povertà minorili prende di mira le categorie più esposte (famiglie operaie, con un solo genitore, composte da immigrati) e negli ultimi 15 anni pesa in misura crescente anche sulle coppie più giovani, contribuendo a scoraggiare i tassi di natalità. Laddove il capofamiglia ha meno di 35 anni, l’incidenza della povertà è cresciuta di 10 punti percentuali dal 1995 e di quasi 4 punti dal 2006, e riguarda ormai 1 famiglia su 2 (il 47,8%). Il dato trova una spiegazione naturale nei salari più bassi percepiti abitualmente da padri e madri che si sono da poco affacciati al mondo del lavoro, ma il fenomeno si è aggravato recentemente in seguito al crollo dell’occupazione giovanile, legata prevalentemente a lavori autonomi e temporanei, e al netto calo degli impieghi a tempo indeterminato nella fascia 15-34 anni (-5% rispetto al 2008 e addirittura – 10% rispetto a 15 anni fa).
Si calcola che già nel 2009, circa 480 mila famiglie dovevano sostenere almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei 12 mesi precedenti.
D’altra parte, le elaborazioni Istat sui livelli di povertà relativa indicano un incremento statisticamente significativo tra le famiglie, presumibilmente più giovani, con un solo figlio minore (+1,9% dal 2010 al 2011), mentre l’incidenza nelle altre tipologie familiari rimane di fatto stabile con l’unica comprensibile eccezione delle coppie con 3 o più bambini nel Mezzogiorno (+3,3%). Il quadro generale fornito dalle diverse indagini sulla situazione economica delle famiglie conferma inoltre due importanti fattori di povertà,
spesso associati tra loro in quello che appare un vero e proprio circolo vizioso: il livello di istruzione dei genitori e la variabile territoriale. Da una parte la povertà minorile è assai più elevata se il capo famiglia ha la sola licenza elementare (64,9%, 2 minori su 3 sono poveri) o la licenza media inferiore (31%), mentre si riduce notevolmente (11,4%) in presenza di un diploma di licenza media superiore o di una laurea (6,5%). Dall’altra, nelle regioni del Mezzogiorno si rileva la compresenza dei principali fattori che
determinano condizioni di povertà economica: una maggiore presenza di famiglie numerose, bassi tassi di occupazione femminile, un’alta percentuale
di famiglie monoreddito o in cui entrambi i genitori sono disoccupati, e infine tassi di scolarizzazione più bassi e alti livelli di dispersione. Come mostrano le mappe di questo Atlante, chi nasce nel Mezzogiorno ha un’alta probabilità di crescere in una famiglia povera.

Fonte: Atlante dell’Infanzia di Save the Children

 

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