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Giovani e lavoro: un breve vademecum

di Fabio Germani

La campagna elettorale, per come si sta preannunciando in queste ore, sembra orientata verso un repertorio datato e che conosciamo quasi a memoria. Molto dipende anche dalla ri-discesa in campo di Berlusconi, certo. E non è trascurabile neppure il risalto mediatico che il Cavaliere riesce ogni volta a catalizzare su di sé. Alla fine, anzi, la risposta potrebbe essere a portata di mano molto più di quanto non si creda. Tuttavia, ci aspetteremmo ben altro. Non perché a chiederlo è l’Europa, né per le riforme rimaste incompiute. Questioni che, sia ben chiaro, sono un aspetto cruciale e dirimente per chiunque farà il suo ingresso a Palazzo Chigi. Ancor prima, però, i cittadini necessitano di risposte. Sul fronte del lavoro e della coesione sociale, ad esempio.
Nel corso dell’anno abbiamo spulciato numeri su numeri, indicatori economici che di fatto paventano una dimensione esiziale sullo stato di salute del Paese. La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record, oltrepassando il limite psicologico del 30%. Nel 2011 – viene spiegato nell’annuario statistico dell’Istat pubblicato pochi giorni fa – è stato rilevato un allungamento della durata della disoccupazione. Un disoccupato su due cerca lavoro da almeno un anno, con un’incidenza della disoccupazione che nel lungo periodo arriva al 51,3% rispetto al 48 del 2010. È continuato inoltre a crescere il numero delle persone in cerca della prima occupazione, con un incremento relativo superiore di quasi tre volte quello del 2010 (58 mila persone in più, pari al 10,7%). Le imprese fanno fatica a sopravvivere, crollano i consumi, sono più di undici milioni i poveri “certificati” dall’Istat. Il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% dei redditi complessivi, mentre il 20% di quelle più povere si deve accontentare dell’8%. Un italiano su quattro è sulla soglia della povertà. Nel secondo trimestre del 2012, il numero dei disoccupati eera pari a 2 milioni e 705 mila unità, con un aumento tendenziale su base annua del 38,9% (+758 mila).
Altro ritardo “tipicamente” italiano: il divario di genere. Che da solo, ci ricordava l’Ocse non più tardi di lunedì, vale l’1% del Pil. Le donne lavorano più degli uomini, includendo la cura della casa e della famiglia, ma percepiscono retribuzioni più basse, per quanto nel 2010 sia stata rilevata una leggera flessione del differenziale salariale donna/uomo dal 5,5% al 5,3%.
Capitolo giovani, infine: la disoccupazione che non si arresta e senso di sfiducia da un lato, mancanze strutturali dall’altro, fanno da cornice ad una situazione senz’altro poco lusinghiera. L’Italia perde il proprio capitale umano: sono tanti i giovani in fuga e l’università fatica ad attrarre nuove potenziali eccellenze. Sono pochi i neolaureati che possono vantare un curriculum di livello e ciò li colloca fuori dal mercato del lavoro. Impossibilitati, perciò, a programmare un futuro.
Con ogni probabilità ci siamo scordati qualcosa in questo breve vademecum. A noi potrebbe anche essere consentito, in minima parte. Ma non più alla politica, che ha sprecato troppo tempo a tappare i buchi tra scandali e inerzia.

 

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