Django e l’omaggio all’Italia. Ma il nostro cinema dov’è? | T-Mag | il magazine di Tecnè

Django e l’omaggio all’Italia. Ma il nostro cinema dov’è?

di Martina Marotta

Quentin Tarantino quest’anno si presenta col botto. Il suo ultimo film, Django Unchained ha sbaragliato qualsiasi concorrenza ai botteghini nostrani e d’oltremare, con circa tre milioni di euro raccolti in 96 ore dall’uscita italiana, e ora vicinissimo a raggiungere i 10 milioni.
E questo boom se lo merita tutto: il suo film si presenta come un western in chiave pulp (il suo marchio di riconoscimento), ricco di azione, suspense, ironia e perché no, anche con qualche elemento splatter.
Ma è anche grazie all’Italia che la pellicola ha una marcia in più: Django Unchained è infatti un imponente omaggio agli spaghetti western degli anni 60-70, quando il nostro cinema era ancora nel pieno della sua ‘belle epoque’.
Tarantino non ha mai fatto segreto della sua immensa passione per i registi italiani che hanno segnato la sua infanzia (tra i suoi preferiti Leone, Corbucci, Deodato e Sollima), e si è infatti ispirato a loro per la realizzazione del film, in primis prendendo il nome Django da un vecchio film di Corbucci. E la lista è lunga.
La colonna sonora è affidata al maestro Ennio Morricone, già compositore per i western di Sergio Leone, affiancato dalla voce di Elisa Toffoli che canta esclusivamente in italiano: sempre tra le musiche-omaggio all’Italia ritroviamo la colonna sonora evergreen de “Lo chiamavano Trinità”, e parlando di quest’ultimo film Tarantino ha anche voluto omaggiarne la vena comica inserendo in Django qualche scenetta esilarante degna di un “fagioli western” con l’indimenticabile coppia Terence Hill-Bud Spencer.
Altro omaggio è la presenza dell’originale interprete di Django di Corbucci, Franco Nero, nella pellicola: l’attore fa infatti un piccolo cameo nel quale scambia qualche parola con lo Django di Jamie Foxx, chiedendogli l’esatta pronuncia del suo nome.
Oltre alle musiche evidenti omaggi all’Italia sono presenti nei titoli di testa (ripresi dal Django originale), nelle inquadrature (che ricordano quelle dei film di Sergio Leone), frasi, vestiti e atteggiamenti: un vero e proprio kolossal-monumento.
I primi giorni di gennaio si è tenuta all’Adriano di Roma l’anteprima del film, a cui hanno presenziato lo stesso Tarantino, Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kerry Washington e Samuel L. Jackson. Ospiti d’onore Franco Nero e Morricone, che ha consegnato a fine serata il premio alla carriera al regista americano: presenti anche le “fonti di ispirazione tarantiniane” Enzo Castellari, Sergio Donati, Mario Caiano, Giulio Questi, Ruggero Deodato, Nori Corbucci, Tonino Valerii. Un vero e proprio ringraziamento festoso all’italiana al regista per aver fatto risorgere un genere che sembrava fosse già tramontato da un po’.
Tarantino è stato accolto come un eroe, e gli incassi, con tanto di recensioni più che positive, dimostrano che non solo non ha deluso, ma i diversi omaggi di Django hanno suscitato un po’ di nostalgia in tutti gli spettatori orfani del genere.
Ed è questo che ormai l’Italia ha da offrire: vecchi film per remake americani, tutto il resto è un’ombra sbiadita del passato. Non che non ci sia rimasto qualche valido regista, sia chiaro, ma sembra che i più brillanti stiano mettendo in atto una vera e propria “fuga di cervelli”, andando spesso e volentieri a lavorare all’Estero con attori stranieri. Basti pensare a Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore, Bernardo Bertolucci, Roberto Faenza: i loro film “esteri” hanno avuto un buon successo fuori dall’Italia, ma in patria non gli è stata data l’attenzione che certamente avrebbero meritato.
Cinecittà, che una volta era considerata la fabbrica dei sogni, con il bramatissimo Teatro 5 felliniano, culla del cinema internazionale, ha dovuto cedere il posto a Hollywood, e oggi non è che una vaga ombra di ciò che gloriosamente era stata in passato, abbassandosi ad ospitare per lo più programmi spazzatura come il “Grande Fratello” o “Uomini e Donne”.
Ma d’altronde, se a noi rimane questo tipo di impronta ‘trash’, è perché l’audience c’è, e quindi è quello che il pubblico vuole, mentre chi vorrebbe cercare di emergere è costretto ad andare in piccoli cinema di nicchia aspettando la grande occasione, o abbassarsi ai livelli delle solite commediole volgari e prive di anima, la cui comicità non c’entra assolutamente nulla con le vecchie commedie all’italiana.
E’ un piacere vedere ogni tanto qualcuno emergere dal polverone in Italia, ma bisognerebbe dargli i giusti riconoscimenti che gli si danno all’estero, come è successo ad esempio l’anno scorso per i fratelli Taviani e il loro “Cesare deve morire”, premiato al Festival di Berlino 2012.
Aspettare il riscatto nostrano o accontentarci degli omaggi americani? Sarà il tempo a deciderlo, noi staremo a vedere.

 

1 Commento per “Django e l’omaggio all’Italia. Ma il nostro cinema dov’è?”

  1. Pietro

    “Basti pensare a Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore, Bernardo Bertolucci, Roberto Faenza: i loro film “esteri” hanno avuto un buon successo fuori dall’Italia, ma in patria non gli è stata data l’attenzione che certamente avrebbero meritato.”

    Ma di che stai delirando?

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