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Press freedom index 2013

di Mirko Spadoni

Raccontare cosa succede, il perché, il dove e il come, in certe parti del mondo non è semplice e, a volte, può essere anche un pericolo. Tutto ciò perché la libertà di stampa non è un valore riconosciuto e tutelato da tutti allo stesso modo. In alcune democrazie, la stampa può essere influenzata da conflitti d’interesse. Nei regimi totalitari, invece, è fortemente limitata ed è chi detiene il potere a decidere cosa si deve raccontare e cosa no. Per questo è necessario monitorare il grado di libertà di cui gode la stampa nelle diverse parti del mondo ed è necessario riflettere sugli “atteggiamenti e le intenzioni dei governi nei confronti della libertà degli organi di informazione a medio e lungo termine”. E il rapporto annuale di Reporter senza frontiere ha proprio questo scopo.
Per la prima volta, nello stilare il proprio rapporto, Reporter senza frontiere ha introdotto un “indicatore” annuale globale della libertà dei media nel mondo.
“Questo nuovo strumento analitico – si legge nel comunicato – misura il livello complessivo della libertà di informazione nel mondo e la performance dei governi mondiali nella loro completezza per quanto riguarda questa libertà fondamentale”.
Uno strumento che si è reso necessario, “viste la progressiva affermazione delle nuove tecnologie e l’interdipendenza tra governi e popoli, la libertà di produrre e diffondere notizie e informazione in senso lato ha bisogno di essere valutata sia a livello mondiale che a livello nazionale”.
“Oggi, nel 2013, il suddetto “indicatore” della libertà dei media si fissa a 3395; essendo il primo, rappresenterà il punto di riferimento per gli anni a seguire”.
Tale indicatore può anche essere “scomposto” regionalmente e, attraverso una ponderazione basata sulla popolazione di ciascuna regione, può essere utilizzato per produrre un punteggio che va da 0 a 100, dove lo zero rappresenta un totale rispetto per la libertà di informazione.
“Con riferimento alla classifica di quest’anno, si è così prodotto – spiega Reporter senza frontiere – un punteggio di 17,5 per l’Europa, 30,0 per le Americhe, 34,3 per l’Africa, 42,2 per l’Asia-Pacifico e 45,3 per la Russia e le ex repubbliche sovietiche (ex-URSS). Nonostante le Primavere arabe, le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa si sono classificate ultime con un punteggio di 48,5”.
Le prime tre posizioni di questa classifica sono occupate da Finlandia, Olanda e Norvegia. Le ultime tre, invece, da Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
Tra le grandi democrazie, ce n’è una in particolare che è scesa e di molto in classifica: Israele, che ha perso circa 20 posizioni, passando alla 112. Questo a causa, spiega il rapporto, della “presa di mira militare contro i giornalisti della Palestina”.
Va male anche il Giappone, passato alla 53esima posizione rispetto alla 22esima occupata lo scorso anno. Tokyo è colpevole di non essere stato trasparente nell’accesso “alle informazioni sulle tematiche direttamente o indirettamente connesse al disastro di Fukushima”.
Migliorano, tra i Paesi protagonisti della primavera araba, l’Egitto e la Libia: con il primo che sale al 158esimo posto (otto posizioni in più rispetto allo scorso anno) e il secondo che guadagna 23 posizioni, piazzandosi al 131esimo posto.
Esistono poi i cosiddetti “modelli regionali” ovvero quei Paesi che influenzano le nazioni confinanti. Parliamo del Brasile (108esima, -9), dell’India (140esima, -9), della Russia (148esima, -6), della Cina (173esima, -6), della Turchia (“la più grande prigione al mondo per i giornalisti”) e del Sud Africa. Ebbene, in tutti questi Paesi le condizioni della libertà di stampa hanno subito un peggioramento. Emblematico è il caso della nazione sudafricana, dove i reporter hanno sempre goduto di ampie libertà e tutele, ma che ora rischiano invece di essere notevolmente limitati. Qui, infatti, è stato approvato il Protection of State Information Bill ovvero la legge per la Protezione delle Informazioni Statali, che prevede pene molto severe per chiunque divulghi segreti di Stato.
La libertà di stampa è ampiamente garantita nell’Unione europea. Tuttavia, avverte Reporter senza frontiere, qualcosa si “sta sfasciando”. Perché mentre sedici dei suoi membri si trovano ancora nella “top 30” della classifica, altri invece indietreggiano o non fanno niente per migliorare. Italia e Grecia, ad esempio. Nel nostro Paese (che pure ha guadagnato quattro posizioni dalla 61esima alla 57esima), dove “il reato di diffamazione deve essere ancora depenalizzato”, le istituzioni ripropongono “pericolosamente leggi bavaglio”. Mentre in Grecia, che ha perso 14 posizioni e ora è 84esima, “l’ambiente sociale e professionale per i suoi giornalisti, esposti alla condanna pubblica e alla violenza sia dei gruppi estremisti che della polizia, è disastroso”.

 

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