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Perché dico no ai matrimoni gay

di Antonio Caputo

Da qualche anno ferve il dibattito sul matrimonio e sulle adozioni per le coppie gay e su una normativa relativa all’omofobia. Il problema presenta numerose implicazioni, morali-religiose, politico-sociali, e soprattutto giuridico-economiche (e dal dibattito pubblico, proprio queste -ahimè- sono quasi assenti), ma purtroppo, spesso, viene affrontato con superficialità e spirito ideologico, senza pensare alle conseguenze di una tale “rivoluzione”.
Lasciando da parte gli aspetti etico/religiosi (con le religioni che esprimono un punto di vista comune, nella contrarietà ai matrimoni gay, concretizzatosi nella grande manifestazione di Parigi, trasversale alle fedi, contro il progetto di legge su matrimoni e adozioni gay), e politico/sociali (la società privilegia il matrimonio uomo-donna perché è l’unico a dare continuità alla società stessa, nella trasmissione della vita), passiamo a quelli giuridico – economici.
La Corte Costituzionale nel 2010 ha sancito (respingendo tre ricorsi di avvocati radicali) la costituzionalità della legge sul matrimonio, non estendendo l’istituto agli omosessuali, perché la Costituzione (art. 29) parla di “diritti per la famiglia quale comunità naturale fondata sul matrimonio”: i diritti in quanto formazione sociale, li ha solo la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna; questo (a detta della Consulta, spiegando che così intendevano i Padri Costituenti) significa “comunità naturale”; non dunque, le coppie gay, né quelle etero non sposate.
Nella teoria del diritto è noto come una normativa speciale si applichi alla sola fattispecie prevista da quella normativa, la quale dunque, deroga, per quella fattispecie, alla disciplina generale. Esattamente quanto avviene con l’articolo 29 della Costituzione (tutela speciale alla famiglia nata dal matrimonio uomo-donna), rispetto alla tutela generale di cui all’articolo 2, che prevede il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità” (e tali formazioni possono essere le più svariate, comprese, a pieno titolo, le convivenze, anche gay). Costituzione alla mano: famiglia come formazione sociale tutelata in sé, altre unioni tutelate non in sé, ma nei diritti individuali di chi le compone.
E veniamo ai diritti (di cui si discuteva ai tempi del poi abortito tentativo di introdurre i Di.Co.) per le coppie di fatto: successione nel contratto di affitto, nell’assistenza sanitaria, diritto di visitare i conviventi in carcere o in ospedale, successione ereditaria; quasi tutti casi in cui una legge sulle unioni di fatto è superflua: quei diritti individuali già esistono, o in sé, o nell’applicazione di quello stupendo (e poco conosciuto nel dibattito pubblico) strumento messo a disposizione dal codice civile, che va sotto il nome di “autonomia privata”. Visite in carcere (punto su cui potrebbero sorgere problemi) o in ospedale escluse, per gli altri diritti basta usare l’autonomia privata, ideando anche contratti diversi dalle tipologie previste per legge, i quali produrrebbero comunque effetti giuridici se non contrari a norme imperative, ordine pubblico o buon costume; ad alcuni diritti, infine, si può arrivare con piccole modifiche alla legislazione vigente.
Due esempi: sulla successione nell’affitto, si può ovviare facendo firmare il contratto ad entrambi i conviventi gay – per le coppie di fatto etero la tutela già esiste-, in modo che alla morte di uno dei due, l’altro non venga “buttato in mezzo ad una strada”; per la successione ereditaria, il problema si risolve a legislazione invariata, facendo semplicemente testamento (senza recarsi dal notaio: il testamento olografo, validissimo, è un pezzo di carta con su scritte le volontà della persona, più data e firma). E’ vero che non di tutti i propri beni si può disporre tramite testamento: ci sono eredi necessari, cui spetta comunque una quota di eredità (salvo loro rinuncia), indipendentemente dalle disposizioni testamentarie. Tali eredi necessari (o legittimari o riservatari) sono il coniuge (in costanza di matrimonio), i figli, e, in assenza di figli, i genitori. Ma chi convive in coppie di fatto (etero o omosessuali), salvo non abbia una doppia relazione, di norma non è sposato, o non lo è più (es. i divorziati), e pertanto non ha nulla di cui preoccuparsi; sui figli (e, in loro assenza, i propri genitori): chiunque, che sia sposato o single, o anche gay, in caso abbia figli (o in loro assenza, abbia genitori viventi) deve destinare loro una quota di eredità. Dov’è il problema? A meno di non stabilire che i conviventi di fatto abbiano la precedenza sui figli: ma saremmo al capriccio che prevale sul diritto!
Altro aspetto: il principio di uguaglianza. Sempre dai primi rudimenti di teoria del diritto, è noto come la declinazione di tale principio implichi di trattare in modo uguale situazioni uguali, ed in modo diverso situazioni diverse. Tornando alla Costituzione, l’impianto di cui agli articoli 29 e 2, enuncia chiaramente, per il nostro ordinamento, la differenza tra famiglia fondata sul matrimonio e altre unioni: pertanto, “situazioni uguali trattate in modo uguale, e situazioni diverse in modo diverso”, significa, in questo caso, disciplina diversa per la famiglia fondata sul matrimonio uomo-donna, rispetto alle altre unioni.
Se saltasse tale paletto a monte, non ci si fermerebbe più: il matrimonio -Costituzione alla mano- è l’unione, tramite determinate procedure formali, di due persone, un uomo e una donna; ammettere al matrimonio altre unioni, significherebbe stravolgere il principio di uguaglianza come sopra formulato, per trasformarlo in “tutti devono calzare le stesse scarpe”. Di conseguenza, si dovrebbero ammettere al matrimonio tutti gli orientamenti sessuali giuridicamente leciti (e limitiamoci a quelli leciti, ma una volta iniziato, è un percorso che potrebbe condurre anche oltre), ossia: eterosessuale concretizzato nel matrimonio; eterosessuale ma senza matrimonio; omosessuale; bisessuale; transessuale. Se saltasse il discorso dell’articolo 29, tutti gli orientamenti sessuali leciti potrebbero chiedere di essere consacrati nell’istituto matrimoniale.
E allora, per i transessuali, dovremmo inventarci l’esistenza di un terzo sesso? E per i bisessuali, un matrimonio poligamo? Non sono astrazioni mentali di giuristi azzaeccacarbugli: una volta fatta saltare la previsione costituzionale di matrimonio, non è detto che tale cambiamento vada limitato al genere (ossia ammettendo le coppie gay), ben potendo, tra qualche anno, estendere tale cambiamento anche al numero di persone che compongano un’unione familiare. Se un omosessuale si sente discriminato per non potersi sposare con un altro uomo, e per ovviare, si introducesse il matrimonio gay, a quel punto un bisex (altro orientamento sessuale lecito), ben potrebbe, giuridicamente, sentirsi discriminato, dal non potersi sposare contemporaneamente con l’uomo e la donna con cui ha una relazione. E, se ammettessimo per i trans l’esistenza di un terzo sesso, perché non prevedere a quel punto anche una unione multi-sessuale?
Chi fa studi giuridici impara a ragionare “a contrario”; dunque, ribadisco: come si può limitare al genere, una volta picconato l’istituto matrimoniale, l’introduzione delle modifiche? Pensiamo alla recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ammesso all’adozione del figlio di una donna, la di lei compagna; ora, questo bambino avrà legalmente tre genitori: il padre naturale, che (come in ogni coppia separata) visita settimanalmente il figlio, e ne paga il mantenimento; la madre naturale; e, appunto, una ulteriore madre adottiva, attuale compagna della madre naturale. E’ o non è il primo passo verso una famiglia poligama?
Altre conseguenze sarebbero: 1) l’adozione dei figli da parte di tali “famiglie”; 2) la fine negli atti pubblici della distinzione tra sessi.
1) Se ammesse al matrimonio, le coppie gay costituirebbero famiglia come tutte le altre; sarebbe pertanto discriminatorio escluderle dall’adozione. Una legge che ciò prevedesse, un minuto dopo sarebbe cestinata dalla Corte Costituzionale. 2) Una volta ammesse al matrimonio le coppie gay, si dovrebbe (come in Spagna) usare il neutro “coniuge”, e non più “marito o moglie”: non avendo le coppie gay il concetto di “marito e moglie”, usare tale concetto in atti pubblici (come i registri dello stato civile) sarebbe discriminatorio nei loro confronti, e, al limite, dire in pubblico “mia moglie” potrebbe essere bollato come omofobo; e così per i figli: per non discriminare si dovrebbe dire semplicemente “genitore”, non più “padre e madre”, dato che le coppie gay non hanno entrambe le figure; un bambino a scuola che dicesse “mio padre” verrebbe ripreso dall’insegnante per atteggiamento omofobo. E’ questo che si vuole?
A proposito di omofobia, i semplici esempi ora formulati dimostrano l’assurdità di una legge sul tema: è omofobo (e passibile di conseguenze anche penali) in quanto discriminatorio verso le coppie gay, dire pubblicamente “mia moglie” anziché “il mio coniuge”, o “mio padre”, anziché “il mio genitore”? E’ omofobo criticare l’omosessualità, o scriverne, come fanno molte fedi religiose, come di un qualcosa “contro natura”? E soprattutto, con una legge sull’omofobia, in caso di aggressione, l’aggredito omosessuale potrebbe invocare per il suo aggressore l’aggravante di omofobia; un aggredito etero, ovviamente, no. Si vuole introdurre una forma di discriminazione a favore dei gay, la cui libertà di andare in giro, la cui sicurezza, la cui integrità fisica, al limite la cui vita (tutte cose sacrosante, sia chiaro!) varrebbero più di quelle di un eterosessuale? Perché se viene aggredito un gay, l’aggressore si deve beccare (poniamo) tre anni di carcere, e se viene aggredito un etero, la pena dovrebbe fermarsi a due? Non sarebbe meglio dare a tutti il diritto di criticare le scelte sessuali altrui (comprese le critiche gay alle scelte etero)? Non sarebbe meglio aumentare la pena per tutti i reati di violenza, stabilendo però un’identica sanzione per le stesse aggressioni, chiunque sia la vittima?
Esaminati gli aspetti giuridici, passiamo a quelli economici. La previsione del matrimonio omosessuale, o anche la sola estensione alle coppie di fatto dei benefici economici in capo alla famiglia, costerebbe caro alle già malmesse casse dello Stato. Le sole pensioni di reversibilità estese alle unioni di fatto costerebbero 7 miliardi l’anno; se aggiungiamo detrazioni per i coniugi a carico, assegni familiari etc., il costo totale di tale operazione comporterebbe una ulteriore stangata annua di qualche decina di miliardi. Come li si finanzierebbe? Elementare, Watson: con altre tasse! Domando ai favorevoli al matrimonio gay (o anche alla sola legge per le coppie di fatto): siete disposti a pagare altre tasse? Io no! Né è sostenibile l’obiezione di escludere le coppie di fatto da reversibilità e benefici fiscali: se equiparate alle famiglie fondate sul matrimonio, una legge che non estenda ad esse tali benefici sarebbe un minuto dopo cestinata dalla Corte Costituzionale.
Se poi proprio vogliamo, andrebbe ridiscusso anche l’impianto delle pensioni di reversibilità, attuazione di un principio sacrosanto, ma suscettibile di abusi: si pensi ad es. ad una badante venticinquenne che sposi il proprio assistito ottantenne; perché dovrebbe essere a carico dello Stato, in un’età in cui è nel pieno delle proprie energie lavorative?
A proposito di aggiramento, e prendendo in considerazione ad es. l’assegnazione alle coppie di fatto delle case comunali: due amici (indipendentemente dal sesso) potrebbero registrarsi come coppia di fatto, aggiudicandosi così una casa che altrimenti non spetterebbe loro. A quante truffe, in un Paese come l’Italia, tali norme darebbero vita?
Argomentazioni giuridiche ed economiche, dunque, per motivare la mia contrarietà ai matrimoni omosessuali, senza citare la Chiesa, il Papa, etc.: al di là delle mie convinzioni religiose, il mio è un no laico e giuridico a tale legislazione.

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11 Commenti per “Perché dico no ai matrimoni gay”

  1. Gabriele

    Questo articolo mi sembra un po’ superfluo… Voglio dire, da quando i bisessuali solo poligami? Provano attrazione per entrambi i sessi, non lo metto in dubbio. Ma questo non vuol dire che sono poligami. Così come molte coppie poligame sono in realtà eterosessuali. Ripeto, queste generalizzazioni non portano a nulla. Il matrimonio gay NON toglie nulla al matrimonio etero.

  2. Andrea

    Complimenti per l’analisi del sistema giuridico italiano, peccato, che lei, Antonio Caputo, abbia tralasciato le ultime righe della sentenza 138/2010, che danno al legislatore la possibilità di estendere il matrimonio anche alle coppie uomo-uomo e donna-donna: “Ancora una volta, con il rinvio alle leggi nazionali, si ha la conferma che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento. Ulteriore riscontro di ciò si desume, come già si è accennato, dall’esame delle scelte e delle soluzioni adottate da numerosi Paesi che hanno introdotto, in alcuni casi, una vera e propria estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile oppure, più frequentemente, forme di tutela molto differenziate e che vanno, dalla tendenziale assimilabilità al matrimonio delle dette unioni, fino alla chiara distinzione, sul piano degli effetti, rispetto allo stesso”.

  3. mi sembra che l’articolo avrebbe potuto essere meno prolisso. Ad ogni modo l’autore si taglia le gambe da solo sin dalle prime battute in cui dice che la Costitutzione sancisce diritti solo per le famiglie basate sul matrimonio e subito dopo l’autore aggiunge “matrimonio tra uomo e donna”, ma nella Costituzione questa precisazione non esiste proprio caro il nostro Caputo. Perciò sta deliberatamente e perniciosamente tirando acqua al Suo mulino! Questo NON va bene.
    La stessa Corte Costituzionale nella stessa sentenza da Lei citata dice anche che sta al legislatore la possibilità di estendere il matrimonio anche alle coppie omosessuali. Cosa che se verrà fatta darà legalità costituzionale senza alcuna possibilità di replica alle coppie omosessuali. Mi spiego meglio: è sufficiente che venga varata una legge che estenda la possibilità di contrarre matrimonio anche alle coppie omosessuali e per la Costituzione tali coppie avranno gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. Esattamente come dichiara l’art.2 e l’art.3 della stessa Costituzione: pari diritti e pari dignità a tutti i cittadini, con obbligo per lo Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitino di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
    Tutto il resto dell’articolo è un inutile fiume di parole.

  4. Eric

    Un punto molto importante che in questo articolo mi sembra non essere adeguatamente descritto, è quello del motivo per il quale la Corte Costituzionale, nella sentenza 138/2010, riconosce un particolare significato all’articolo 29 della Costituzione. L’articolo 29, in sé, non presuppone il requisito di diversità di genere per contrarre matrimonio. Oltre a mancare un accenno specifico infatti, come gli stessi giudici hanno spiegato l’espressione ‘società naturale’ sottointende ‘pregiurico’. Nell’accezione di famiglia come entità pregiuridica i cui diritti non sono ‘creati’ dallo stato bensì da esso umilmente riconosciuti (accezione riconosciuta dagli stessi costituenti, documenti dell’Assemblea alla mano) rientrerebbe perfettamente l’idea che lo Stato possa riconoscere la famiglia a nucleo omosessuale come una entità tanto pregiuridica tanto quella eterosessuale, riconoscendo ad essa eguali diritti. Invece di concentrarsi su questo punto da essa stessa esaminato, la Corte Costituzionale va invece a concentrarsi sul codice civile nei punti in cui esso, scandendo i suoi articoli, usando la terminologia ‘marito e moglie’ o ‘uomo e donna’ o espressioni simili, impedisce che si possa parlare di matrimonio omosessuale. Una delle prime cose che si studiano nel diritto, è la gerarchia delle fonti del diritto. La Costituzione è al primo posto. Non si capisce bene dunque sulla base di quale principio i giudici costituzionali abbiano assegnato un significato all’articolo 29 sulla base di un codice civile che alla Costituzione è subordinato. I giudici hanno voluto dirci che cambiando il codice civile noi cambiamo i principi contenuti nella Costituzione? E’ evidente a tutti, che c’è una falla abnorme in questo ragionamento. Di sicuro i padri costituenti non pensarano al matrimonio egualitario quando scrissero l’articolo 29 ma tra dire questo e dire che il codice civile assegni all’articolo 29 un significato limitativo rispetto al matrimonio egualitario, c’è un oceano. Non possiamo sapere cosa ne penserebbero i Costituenti oggi, possamo solo dire, come tra l’altro ha riconosciuto la Corte, che secondo l’attuale Costituzione sarebbe costituzionale sia negare il matrimonio egualitario, sia approvarlo. Che non si parli dunque, come fanno certi politici in mala fede, di impedimenti: se non lo si vuole fare, non lo si fa per principio, non per obbligo di non farlo da parte di un dettato costituzionale in ciò inesistente.

    Detto questo, articolo ben precedente rispetto al 29° salta all’occhio: è il 3°. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

    Applicare questo articolo in tema di matrimonio civile sarebbe semplicissimo. Basterebbe estendere l’istituto civile anche alle coppie omosessuali. Tuttavia l’autore dell’articolo obbietta che, sussistendo una diversità intrinseca di situazioni, allora è possibile trattare con soluzione differente la situazione differente. Dobbiamo dunque chiederci se questa diversità impone un obbligo di differenziazione, perché un principio basilare del diritto, di ogni stato di diritto, è la ‘giusta causa’. Anche ammettendo che esista una differenza ‘incisiva’ (e io mi rifiuto di ammetterlo, perché come per l’autore dell’articolo può essere catalogata ‘differenza incisiva lo stesso genere’, per altri può esserlo il colore della pelle, o la diversità di credo religioso…e in passato la storia ci ha regalato tante brutture per questo) possiamo dire che l’esistenza di questa differenza giustifica l’applicazione del principio di separazione? La mia risposta è nettissima: no.

    Alcuni chiamano in causa la Bibbia e Dio, ma lo stato è laico e dell’opinione di qualsiasi Dio, nelle legge civili, non deve interessarsi. Alcuni chiamano in causa la tradizione, ma la tradizione non prevarica il diritto, e lo abbiamo sperimentato nel caso del divorzio e della pari opportunità dei coniugi. Altri chiamano in causa la capacità di generale prole ma, come ampiamente comprovato dalla giurisprudenza, la capacità di fare figli non è un requisito per l’accesso al matrimonio.

    Cosa abbiamo concluso? Che non ci sono ragioni valide, dal punto di vista del diritto, per dire no. I no che ci sono, si reggono su traballanti giri di parole tenuti in piedi da sentenze pavide. E, soprattutto, si reggono sulle paure.

    Quella di cui l’autore dell’articolo ha fatto qui un perfetto esempio, si chiama teoria del piano inclinato. Prima di tutto si gioca (anche se non lo si dice, mangari nemmeno citandolo alla lontana) con l’idea di ‘dversità cattiva’. Poi si prospetta che a questa diversità cattiva vengano concessi privilegi che altro non sono se non l’estensione di diritti negati. Sempre meglio parlare anche di bambini, come se non esistessero maree di studi che confermano come i bambini possano essere cresciuti egualmente bene da coppie omosessuali, e come se non esistessero già ora moltissime famiglie con nucleo omosessuale nelle quali crescono dei bambini.

    Non è vero che dal matrimonio omosessuale discende indissolubilmente l’adozione, come giustamente fatto intendere qui. Il Portogallo lo dimostra bene: là le coppie omosessuali possono sposarsi ma non adottare. Lo dimostra anche il Regno Unito: là le coppie omosessuali possono adottare, ma non sposarsi. Io dico però che è probabile che dal matrimonio omosessuale,al giorno d’oggi, discenda l’adozione, quanto meno quella del figlio del partner. E oserei dire: ci mancherebbe altro! E questo senza voler negare che esista, da parte della società, una discriminazione negativa nei confronti dei figli di coppie omosessuali. Vi sfido però a dire “L’adozione alle coppie di colore/interraziali/interreligiose” dovrebbe essere vietata perché il bambino potrebbe essere discriminato. Nei casi suddetti, si condanna chi discrimina e di azzoppare il riconoscimento legale di quelle famiglie non si discute nemmeno alla lontana, per fortuna. Perché, nel caso delle coppie gay, invece, viene prima la discriminazione di Stato, e nemmeno si penda a condannare efficacemente chi discrimina? Forse è perché la discriminazione alle persone omosessuali non è ancora vista così negativamente come quella contro altri gruppi.

    Invece di stare a vedere i cavillini e i timori, invece di impelagarsi in discussioni retoriche su cosa potrebbe diventare omofobo o meno (e lasciatemelo dire, leggere che udire la parola ‘moglie’ potrebbe essere considerato omofobo fa sorridere, e dubitare dell’onestà intellettuale con la quale l’autore argomenta le sue ipotesi) andiamo a guardare, oltre alla realtà dei fatti, i principi fondamentali che dovrebbero regolare la nostra società. L’uguaglianza, la dignità sociale da essa derivata, il rispetto, la pluralità, la solidarietà. E, a proposito di solidarietà, leggere che una delle motivazioni per dire no ai diritti delle coppie LGBT potrebbe essere quella del peso economico che le pensioni di reversibilità potrebbero avere sulle casse dello Stato, fa venire da piangere e fa provare vergogna verso chi lo ipoteizza. Stiamo forse pensando che, solo perché c’é crisi e i gay ‘sono arrivati dopo’, dovrebbero continuare a vedere leso il loro diritto di eguale trattamento solo perché “è andata così”? A questo punto, converrebbe smantellare la Repubblica, perché discorsi simili la smontano fin dalle fondamenta.

  5. Antonio Caputo

    Replico agli attacchi:
    1) Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, e famoso avvocato, ha affermato che per introdurre il matriomio gay in Italia, cui peraltro egli è favorevole, servirebbe una legge costituzionale, proprio in base alle sentenze del 2010 della Consulta.
    2) Adozione: se quella omosessuale diventa famiglia, NON SI PUO’ negare l’adozione dei figli: sarebbe discriminatorio. La Consulta estenderebbe un minuto dopo l’adozione alle famiglie omosessuali.
    3) Omofobia: il non poter usare in atti pubblici i termini “marito e moglie” o “padre” e “madre” non è una mia inveznione: è previsto in Francia e Spagna: è disonesto intellettualmente negare quanto avviene in questi due Paesi!
    4) Pensioni/sgravi fiscali: vergogna verso chi ipotizza cosa? Il peso fiscale in Italia è insostenibile: vogliamo aumentarlo di 20 miliardi l’anno?! Chi paga? Le tasse vanno ridotte drasticamente, se aumentano, allora sì ke si andrà allo sfascio della Repubblica!
    5) Bisessuali: ribadisco quanto ho scritto. Non tutti i bisex sono poligami, ma se salta l’attuale definizione di matrimonio: unione di 2 (numero) persone, un uomo e una donna (genere), perchè dovrebbe saltare solo nel genere? Chi esclude che tra 10/20 anni salti anche nel numero?
    Possibilmente si esprimano le proprie idee, senza insultare (malafede, disonestà intellettuale, fa piangere, fa ridere, sfascio della Repubblica) chi la pensa diversamente!

  6. mario rossi

    Sei un povero gay represso. E tu e le tue idee finto bigotte ti fanno sembrare il classico maniaco da parco. Apri la tua mente e evolviti, che è ora!

  7. redazione

    Gentile Mario Rossi,
    le ricordiamo tuttavia che si può essere contrari ad una posizione non necessariamente insultando l’interlocutore. Se desidera intervenire secondo le più ovvie e semplici regole di cortesia e buona educazione, è il benvenuto. Altrimenti saremo costretti ad eliminare i suoi commenti. Grazie.

  8. Matteo

    Ci sono almeno due cose che fanno capire come questo articolo possa essere cestinato senza dubbio alcuno:

    1) L’autore usa lo spauracchio delle adozioni da parte di coppie omosessuali come se fosse l’espressione del male incarnato. Meglio farebbe a documentarsi sulla letteratura scientifica attuale che indica come coppie omosessuali siano perfettamente in grado di adottare e crescere figli sani e persone di successo. http://en.wikipedia.org/wiki/LGBT_adoption (si senta libero di ampliare la propria ricerca in merito oltre la pagina di Wikipedia e vedra’ che non ho torto

    2) L’autore ignora volutamente e faziosamente la differenza fondamentale tra distinzioni di genere e distinzioni di numero quando sventola l’ennesimo spauracchio della poligamia. Sono veramente stupito che non abbia fatto riferimento anche a chi cerchera’ di sposare il proprio cane (bestiality) o un morto (necrofilia). Gli argomenti del “piano inclinato” sono stati usati per anni da conservatori bigotti e SEMPRE rifiutati. Inviterei l’autore anche a citare esempi di paesi che abbiano legalizzato e riconosciuto il matrimonio omosessuale e che si trovino ora a fare i conti con il matrimonio poligamo (Hint: non ce ne sono).

  9. […] anche: Perché dico no ai matrimoni gay Perché dico sì ai matrimoni […]

  10. elena

    …ma quali sono gli orientamenti sessuali giuridicamente illeciti…?????

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