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La crisi dell’Occidente nel nuovo secolo

di Antonio Caputo

Martedì 11 settembre 2001; lunedì 15 settembre 2008; giovedì 28 febbraio 2013: cos’hanno in comune queste date? Gli attentati al World Trade Center, il crack di Lehman Brothers, l’uscita di scena di Benedetto XVI, sono tre eventi che, con modalità ovviamente diverse, mettono in evidenza la crisi dell’Occidente nel nuovo secolo.
Se i secoli precedenti erano stati, senz’altro, secoli europei, nel senso di un’assoluta centralità geopolitica (da tutti i punti di vista: politico, economico, culturale, militare e religioso) del Vecchio Continente, ed il ‘900 aveva visto la “traslatio imperii” verso gli Stati Uniti (sempre, comunque, nell’ambito dell’Occidente) il XXI secolo, con ogni evidenza, vedrà la perdita di tale centralità, che potrebbe dar vita ad una nuova centralità asiatica, o anche ad un multi centralismo, con tante realtà forti, senza che nessuna di esse sia in grado di far emergere una prevalenza planetaria.
L’America colpita al cuore nel 2001 reagisce con le guerre in Afghanistan ed Iraq, rimanendone impantanata, e dimostrando di non esser più in grado di combattere in contemporanea su due fronti. Gli scatoloni dei dipendenti che abbandonano gli uffici di una delle banche, universalmente ritenuta tra le più solide al mondo, hanno innescato a livello globale un tracollo nella fiducia sul futuro economico, le cui conseguenze sono state una crisi economica pesantissima dal cui tunnel, in Occidente, non si intravede via di uscita; mentre, al contrario, prosegue, a grandi passi, lo sviluppo di altre grandi economie (i cosiddetti Paesi BRIC, Brasile, Russia, India, Cina). Due settori, quello politico-militare e quello economico, che evidenziano le enormi difficoltà di quella che resta (pur nell’evidente declino) la parte più avanzata del pianeta.
Traslato oltreoceano il potere politico-militare ed economico, è rimasta nel vecchio Continente la “Sede centrale” della Chiesa Cattolica, un unicum tra le varie Fedi: né Ebrei, né musulmani, tanto meno i protestanti, prevedono una figura come il Papa; un unicum anche come forma di governo: monarchia assoluta, elettiva (non potendo, per ovvie ragioni, essere ereditaria) ed ovviamente a vita. Se è vero che l’ormai famoso canone 332 prevede la possibilità delle dimissioni per il Pontefice, è anche vero che, al di là pochi (e piuttosto remoti) precedenti, tale ipotesi, fino a qualche settimana fa, era considerata puramente accademica. L’abdicazione di Benedetto XVI potrebbe innescare un processo di assimilazione ad altre istituzioni laiche? Il fatto è che il Papa non è solo Vescovo di Roma; fosse così, all’età di 75 anni andrebbe in pensione come tutti i titolari di Diocesi o Dicasteri; il Santo Padre è Vicario di Cristo: ecco che cosa ne fa l’unicum rispetto agli altri sovrani, e anche rispetto agli altri vescovi. Se si innescasse il precedente delle dimissioni, quali sarebbero le conseguenze? E’ una domanda cui si potrà rispondere solo se il caso si dovesse riproporre in futuro.
L’elicottero che volava nel cielo di Roma, accompagnando gli ultimi momenti da Pontefice di Joseph Ratzinger, le Torri Gemelle che collassavano, i dipendenti di Lehman Brothers che preparavano gli scatoloni mi hanno dato (certo, in modo diverso) la sensazione di certezze che si sgretolano, della fine di un’epoca.
La differenza con gli altri avvenimenti citati è enorme: la Chiesa continuerà anche dopo Benedetto XVI, è ovvio! E tale certezza viene dalla reazione del popolo cristiano: dopo l’inevitabile smarrimento iniziale, prevale la convinzione, nei fedeli, del fatto che la Chiesa non si regga sulle sole forze umane, sia pur di persone degnissime, come Joseph Ratzinger, o, prima di lui, Karol Wojtyla, altrimenti sarebbe già crollata da un pezzo. Certezza che si rafforza nell’aver visto e sentito le manifestazioni di affetto verso il Santo Padre, la commozione (oltrechè dello stesso Papa) di numerosi fedeli, in quella piazza San Pietro gremita, mercoledì 27 febbraio, per la sua ultima udienza generale. In quella sede si è plasticamente notato quanto da lui detto: “Non mi sento solo … Voi mi siete stati vicini, vi ringrazio”; una vicinanza che ha aiutato il Papa nei momenti difficili, quando “La barca imbarcava acqua, mentre il Signore sembrava dormire, ma non era così: Cristo non ci abbandona mai”.
Ma, se è vero che non c’è l’ultima delle ragioni per dubitare di quanto addotto dal “Papa emerito” (bisognerà chiamarlo così ormai), per giustificare la sua abdicazione, “per il bene della Chiesa, a motivo del venir meno delle forze fisiche e spirituali”, cosa che pertanto porta a rigettare le interpretazioni di quanti volevano la rinuncia legata alla crisi della Chiesa, è anche vero che problemi ce ne sono: in Europa è in atto una crisi, tanto delle vocazioni, quanto delle parrocchie (un calo in percentuale a doppia cifra nell’ultimo decennio). Solo in Europa, però: l’America del Nord (grazie, va detto, alla forte immigrazione ispanica) tiene bene, come pure l’Oceania; mentre vi è un balzo in avanti, anch’esso a doppia cifra percentuale, di nuovi sacerdoti e fedeli, nel resto del mondo. In Africa, Asia, America Latina, la crisi della Chiesa non c’è affatto: l’espansione in quelle terre più che compensa il calo occidentale (o meglio, europeo). L’elezione, otto anni fa, di Joseph Ratzinger, voleva essere il simbolo di un recupero della Fede in Europa; la sua uscita di scena è, indirettamente, un simbolo della decadenza religiosa europea.
Ciò porterà al “Papa nero?”. Forse non in questo conclave, ma senz’altro in futuro: il baricentro della Chiesa si sposta sempre più verso Sud e verso Est. Mi ricollego all’incipit: Roma, nel futuro, sarà sempre più sede geografica, perdendo la sua centralità in un mondo, quello cattolico, che parlerà sempre più spagnolo, portoghese, swahili, indiano o cinese; il futuro che ci aspetta, come Occidente, sarà quello di “vecchie glorie”: nel giro di pochi anni, perderemo la centralità politico/militare, economica e anche religiosa (che pure manterrà come sede Roma, ma con sempre meno italiani ed europei nei ruoli apicali).
D’altronde, il pensiero nichilista e relativista imperante in Occidente, è la filosofia dell’io, qui ed oggi, non compatibile con una visione religiosa e le conseguenze sono evidenti: un continente che fa sempre meno figli non ha fiducia nel futuro, e la Fede, più che un insieme di articoli da recitare nel Credo, è Fiducia. Se non si ha fiducia, non si ha Fede, e l’Occidente (Europa in primis) sembra davvero aver smarrito la fiducia: prova ne sia che le città europee son sempre più popolate da stranieri (via via più integrati), gli unici grazie ai quali la popolazione aumenta. Per affrontare il futuro, serve quella fiducia che hanno gli immigrati e le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo e che gli europei, invece, sempre più vecchi, e imprigionati nel politically correct, sembrano aver smarrito.

 

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