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Le conseguenze della riforma Fornero

di Matteo Buttaroni

fornero_lavoroSono passati quasi nove mesi dall’entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro promossa dal ministro Elsa Fornero. Una riforma – ricorda il Fatto Quotidiano in un’indagine che ha condotto sul tema – varata con lo scopo di favorire “l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e di ribadire il rilievo prioritario del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale forma comune di rapporto di lavoro”. In realtà i due rami della riforma (l’indebolimento delle tutele previste dall’art.128 da un lato e l’inasprimento sull’uso dei contratti flessibili dall’altro) hanno portato a una serie di licenziamenti individuali e ad una perdita di posti di lavoro e ad un peggioramento delle condizioni di quelli disponibili. Il Fatto Quotidiano sottolinea che al ministero del Lavoro “risultano 640 mila rapporti di lavoro interrotti con un licenziamento, il che significa un aumento dell’11% sul 2011. Nello stesso periodo le dimissioni sono diminuite dell’8,7% passando da 1,22 milioni a 1,1 milioni”.
Guardando invece alle assunzioni si nota che, dall’entrata in vigore della riforma, oltre il 67% delle assunzioni prevede contratti a termine, mentre solo il 17,5% a tempo indeterminato e il 6,4% con contratti di collaborazione. Ancora più bassi i contratti di apprendistato che si attestano appena al 2,5%. Rispetto ai mesi precedenti alla riforma si registra un calo del 22,5% nei contratti di collaborazione e del 24,3% nei contratti flessibili.
Per quanto riguarda i precari, secondo uno studio della Cgil, solo “il 5% è stato stabilizzato e solo un altro 4% è passato ad un contratto flessibile con più tutele, mentre il 27% ha direttamente perso il lavoro e il 22% è scivolato verso un contratto peggiore”. Non solo, la riforma, a causa dell’abolizione della possibilità di reintegro, ha portato a una crescita dei licenziamenti degli ultra cinquantenni per far spazio a colleghi più giovani e quindi meno costosi.
La Cgil ha rielaborato anche i dati diffusi dall’Inps sui lavoratori in cassa integrazione e stima che ogni lavoratore fermo abbia perso con lo stop della produzione circa 1.320 euro. Quello della cassa integrazione è un fenomeno che nei primi due mesi del 2013 si mostra con oltre 168 milioni di ore autorizzate alle imprese, in aumento del 22% sul 2012 e con circa mezzo milione di lavoratori a “zero ore” interessati.
“Nel 2012 – riporta invece la Cgia di Mestre – sono state aperte 549.000 partite Iva. Di queste ultime, 211.500 (pari al 38,5% del totale) sono ascrivibili a giovani con meno di 35 anni. Se infatti rispetto al 2011 le aperture totali sono cresciute del 2,2%, tra i giovani l’aumento è stato quasi esponenziale: +8,1%”. Secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, “i settori maggiormente interessati sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le professioni e le costruzioni, la zona il Mezzogiorno. L’aumento del numero delle partite Iva in capo ai giovani lascia presagire, nonostante le misure restrittive della riforma del ministro Fornero, che questi nuovi autonomi lavorino prevalentemente per un solo committente”.
Altra conseguenza della riforma, come riporta l’Associazione degli avvocati giuslavoristi, “a livello interpretativo, l’impatto del rito carente e lacunoso sull’articolo 18 è stato devastante, come uno tsunami. Il processo del lavoro partorito dalla riforma si è risolto in una moltiplicazione dei processi e in un aggravio del carico già esorbitante della giustizia del lavoro. Al 31 dicembre i ricorsi con il rito Fornero sono stati 610 in tutto, 260 tra gennaio e febbraio, numeri che raddoppiano e addirittura triplicano se si considera che per lamentele diverse dal licenziamento il ricorso va fatto separatamente”.

 

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