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L’interventismo di Giorgio Napolitano

giorgio_napolitanoLe cronache giornalistiche (in particolare del Corriere della Sera) raccontano di un Giorgio Napolitano adirato per le reazioni ritenute “assurde” e “di sospetto e dietrologie incomprensibili, tra il geniale e il demente”. Da quanto si è potuto apprendere nelle ultime ore, sarà Napolitano in persona a presiedere l’avvio dei lavori dei “saggi” i cui rispettivi gruppi studieranno, a partire da martedì, le iniziative da intraprendere nei vari ambiti di competenza, per lo più temi di caratura economico-sociale e istituzionale.
Chi ha parlato in un primo momento di Re Giorgio, chi un istante dopo di golpe. In verità il capo dello Stato ha spiegato in questo modo il senso della sua decisione: “Non può sfuggire agli italiani e all’opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell’attuale situazione del nostro paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento: esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l’economia, d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall’onorevole Giorgetti. Nella prospettiva ormai ravvicinata dell’elezione del nuovo Capo dello Stato, che mi auguro veda un’ampia intesa tra le forze politiche, sono giunto alla conclusione che, pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo, posso fino all’ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili”. Mettere cioè una toppa là dove è possibile, senza per questo dover ricorrere alle dimissioni per sbrogliare una situazione apparsa fin troppo complicata al termine del preincarico di Pier Luigi Bersani.
Quello dei saggi (che, ricordiamo, sono in materia istituzionale Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante; in materia economico-sociale ed europea Enrico Giovannini, Giovanni Pitruzzella, Salvatore Rossi, Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico, Enzo Moavero Milanesi), secondo lo schema ipotizzato da Napolitano, sarà un lavoro istruttorio, da presentare successivamente alle forze politiche, misurando eventuali convergenze, al fine di facilitare la formazione di un nuovo esecutivo in tempi che siano i più rapidi possibili.
Non è un’eccessiva prova di forza, ma senza dubbio un ulteriore elemento dell’interventismo a cui Napolitano ci ha abituati nel corso del suo settennato ormai giunto al tramonto. Non che i predecessori – da Pertini a Ciampi – non siano stati altrettanto reattivi (sull’argomento scrisse su queste pagine Antonio Caputo), ma Napolitano ha senza dubbio tracciato un solco tra dettato costituzionale ed interpretazione evolutiva dei poteri del Capo dello Stato. Basti pensare ai fatti più recenti: dalle dimissioni di Berlusconi nel novembre del 2011 alla sostituzione con Monti per un governo del presidente, nel contesto di un’emergenza economico-finanziaria, evitando così le elezioni anticipate. E ancora le ripetute esortazioni, rimaste tuttavia lettera morta, alla modifica della legge elettorale. Fino all’ultima decisione che di fatto attribuisce al Quirinale un ruolo politico e di ago della bilancia, nonché il fulcro dell’architettura istituzionale, di primaria importanza.

 

1 Commento per “L’interventismo di Giorgio Napolitano”

  1. Alfonso Gianni

    Napolitano si è inventato la Repubblica dei filosofi (se Platone ci permette il paragone). Solo che assomiglia più alla nave dei folli. Leggendo l’intervista di Onida di ieri, mi pare che la convinzioine non è molta. Di fatto ci ripropone Monti e fa finta che le elezioni non ci siano state. L’unica cosa che può convincere le forse politiche a metteresi d’accordo almeno per un governo di transizione è la minaccia delle elezioni immediate. Quindi la cosa migliore che Napolitano doveva fare era dimettersi per antiucipare la nomina di un nuovo Presidente della Repubbòlica nella pienzza dei poteri, quindi anche quelo di sciogliere le camere o una sola di esse (come prevde la Costituzione)

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