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È la questione lavoro la priorità

disoccupazione_giovani_lavoroDi questi tempi parlare di lavoro, nonostante l’importante ricorrenza del primo maggio, è un esercizio dialettico non semplice. La situazione, drammatica, è nota, tanto che il presidente del Consiglio Enrico Letta – fresco di fiducia incassata sia alla Camera che al Senato – ha indicato il lavoro quale priorità. Anzi, “una tragedia” ha definito la questione. “Solo con il lavoro – ha sottolineato il premier lunedì alla Camera – si può uscire da quest’incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Senza crescita, anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo governo”.
Già, perché dici lavoro e ti accorgi che i problemi sono molteplici. Soprattutto per i più giovani, il cui tasso di disoccupazione (la fascia di età è quella che va dai 15 ai 24 anni) secondo gli ultimi dati Istat, a marzo è pari al 38,4%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto a febbraio e di 3,2 punti su base annua. Sempre a marzo 2013, rileva ancora l’Istat, gli occupati sono 22 milioni e 674 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese di febbraio (-51 mila unità). Un calo, quest’ultimo, che riguarda solamente la componente femminile. Negli ultimi dodici mesi sono andati invece perduti ben 248 mila posti di lavoro, per un calo in termini percentuali pari all’1,1%. Il tasso di occupazione è quindi pari al 56,3%, in calo dello 0,1% nel confronto congiunturale e di 0,6 punti rispetto a quanto rilevato dodici mesi prima.
A marzo 2013, sono invece 2 milioni 950 mila i disoccupati italiani. Un numero elevato, che però diminuisce dello 0,5% rispetto al mese di febbraio (-14 mila). Il calo – secondo le rilevazioni dell’Istat – non fa differenze tra i generi, riguardando sia la componente maschile sia, in misura più lieve, quella femminile. Si è così registrato un calo, seppur contenuta, della disoccupazione, che su base annua è cresciuta invece di ben 11,2 punti percentuali (+297 mila unità). Il tasso di disoccupazione si attesta all’11,5%, invariato rispetto a febbraio e in aumento di 1,1 punti percentuali nei dodici mesi.
Aumenta poi il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni, che in termini percentuali ha fatto registrare un incremento dello 0,5% rispetto al mese precedente (+69 mila unità), e il tasso di inattività, che si attesta al 36,3%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e in diminuzione di 0,2 punti su base annua.
Tra le categorie che stanno facendo i conti con le difficoltà della crisi economica, ci sono anche i lavoratori autonomi. Dal 2008 al 2012, il settore ha perso 416 mila posti di lavoro, che secondo l’analisi di Confesercenti è pari a quasi un terzo degli 1,3 milioni di posti “bruciati” complessivamente a livello nazionale. Nello stesso periodo, il fisco non ha certo agevolato il contenimento degli effetti della crisi: anzi, la già alta pressione fiscale è aumentata ulteriormente di 1,3 punti. Davanti ad un’economia in difficoltà, dinanzi alle numerose imprese costrette ha dichiarare la resa, il fisco non “ha agevolato il contenimento degli effetti della crisi”, anzi. La già alta pressione fiscale è infatti aumentata di ben 1,3 punti percentuali. Tutto ciò (recessione, crollo occupazionale, pressione fiscale) ha contribuito tra le altre cose ad una “pesante diminuzione dei redditi primari”.
“Nel solo 2012 – sottolinea la Confesercenti – l’ammontare dei redditi ‘smarriti’ rispetto all’anno immediatamente precedente l’inizio della crisi economica (2007) è risultato pari a quasi 16 miliardi; la metà della perdita complessiva (31 miliardi) accumulata, anno dopo anno, nel quinquennio”. Mentre risulta particolarmente drammatica e preoccupante, la flessione dei redditi primari da lavoro autonomo pari a 67,8 miliardi di euro nel quinquennio, un terzo dei quali concentrato nel solo 2012. Un dato che trascina giù l’intero reddito primario nazionale: nello stesso periodo, infatti, quello da lavoro dipendente è cresciuto di 13,9 miliardi di euro.
Sono numeri impietosi al punto da credere che non vi sia nulla da festeggiare, oggi. Invece questa può essere l’occasione utile per riflettere sul futuro, sulle scelte che dovranno trainare il Paese verso la ripresa (ci permettiamo di suggerire: nuovi incentivi per l’autoimprenditorialità e agenda digitale). Non sarà facile, dato che il governo Letta presenta già ai nastri di partenza difficoltà di natura politica. Ma i margini per raggiungere obiettivi soddisfacenti ci sono. Dovrà essere responsabilità di tutti non farseli scappare.

 

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