Italia maglia nera per la durata dei processi civili
Ancora una maglia nera per l’Italia. Il nostro Paese questa volta indossa quella per la durata dei processi cvili. Sì, perché in Italia i tempi sono più lunghi di quelli di qualsiasi altro Paese dell’area Ocse.
Nel 2010 sono stati necessari 564 giorni per il primo grado, contro una media di 240 giorni. Il primato, in quanto a velocità, spetta al Paese del Sol Levante, quindi il Giappone, con 107 giorni, risulando così il paese più veloce al mondo. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Ocse Giustizia civile: come promuovere l’efficienza,.
Per dare un idea dei tempi necessari: la conclusione di un procedimento nei tre gradi di giudizio richiede in media 788 giorni, con un minimo di 368 giorni in Svizzera e un massimo di addirittura otto anni in Italia.
Il baratro tra i tempi del paese più veloce e quello più lento dà da pensare soprattutto perché entrambi i Paesi destinano al sistema giudiziario la stessa quota di Pil, ovvero lo 0,2%.
“Pur con le cautele dovute a differenze nei sistemi legali e nell’organizzazione delle statistiche giudiziarie nei diversi paesi – sottolinea lo studio – i confronti internazionali evidenziano un’ampia variabilità nella durata dei procedimenti”.
Nello studio si legge inoltre che, naturalmente, la durata dei procedimenti incide sul grado di fiducia dei cittadini nei confronti del sistema giustizia. Questo perché un aumento della durata dei procedimenti del dieci per cento “è associato a una riduzione di circa due punti percentuali della probabilità che un soggetto dichiari di avere fiducia nel sistema giudiziario”.
Per portare il contenzioso dell’Italia ai livelli degli altri Paesi dell’Area bisognerebbe ridurre la litigiosità del 35%, facendo ridurre così la durata dei processi civili del 10%.
E ancora, sulla durata dei processi civili e sulla conflittualità tra privati e imprese e lo Stato incidono la qualità delle leggi e la tempestiva attuazione delle politiche pubbliche. Ovvio, perché, al contrario, l’incertezza istituzionale come l’opacità e la corruzione aumentano inevitabilmente le controversie.
A incidere sull’alta quantità di cause, rileva lo studio, è il mercato dei servizi legali. “Nei Paesi in cui le tariffe dei professionisti sono liberalizzate – si legge – si osserva una più bassa litigiosità. E il passaggio da un regime regolato a uno non regolato è associato a una riduzione media della litigiosità da 2,9 a 0,9 casi ogni cento abitanti. Questo perché una maggiore concorrenza si associa a una minore convenienza a ricorrere al tribunale per la soluzione delle controversie”.