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La condanna di Berlusconi sui giornali

“Cosa ne sarà adesso del governo Letta”, “la pacificazione a rischio”, “nulla sarà più come prima”: sono questi gli interrogativi e le conclusioni a cui giungono i maggiori quotidiani italiani l’indomani della sentenza di condanna a sette anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile ai danni di Silvio Berlusconi.

Berlusconi triste(Marcello Sorgi, La Stampa). La fine, meglio sarebbe dire l’abbattimento per via giudiziaria, della Seconda Repubblica (già in corso da tempo, va detto, non solo a causa di Berlusconi, ma anche all’ondata generalizzata di corruzione che ha investito le amministrazioni locali) apre un vuoto anche peggiore di quello lasciato dal crollo della Prima. Allora, infatti, l’onda d’urto di Tangentopoli era stata affiancata, per non dire sovrastata, dalla reazione di indignazione, accompagnata anche dal desiderio di rinnovamento, espressi dai referendum elettorali del 1991 e ’93. E dall’introduzione del maggioritario e dei collegi uninominali, che offrivano ai cittadini, non va dimenticato, l’occasione – svanita purtroppo assai presto – di poter scegliere direttamente i governi e rinnovare radicalmente i rappresentanti da mandare in Parlamento. La transizione cominciata in quegli anni doveva purtroppo arenarsi in breve tempo, approdando alla confusione e allo scontro continuo in cui l’Italia si trascina da quasi un ventennio. Così, giorno dopo giorno, siamo arrivati a oggi. Un sistema politico ormai indebolito e incapace di autoriformarsi non ha potuto che soccombere a una magistratura forte; anzi resa più forte, in pratica l’unico potere sopravvissuto alla crisi delle istituzioni, dalla mancanza di riforme.

(Ezio Mauro, La Repubblica) […] “La questione – scriveva D’Avanzo – non ha nulla a che fare con il giudizio morale, bensì con la responsabilità politica. Questo progressivo disvelamento del disordine in cui si muove il premier e della sua fragilità privata ripropone la debolezza del Cavaliere, tema che interpella la credibilità delle istituzioni”, perché tutto ciò “rende vulnerabile la sua funzione pubblica, così come le sue ossessioni personali possono sottoporlo a pressioni incontrollabili”. La dismisura dunque come cifra dell’eccesso di comando, grado supremo della sovranità carismatica, con il voto che cancella ogni macchia e supera ogni limite, rendendo inutile ogni domanda, qualsiasi dubbio, qualunque dovere di rendiconto. E l’abuso di potere come forma politica di quella sovranità sciolta da ogni controllo, e insieme sua garanzia perenne. Perché nel sistema berlusconiano, dice D’Avanzo, “il potere statale protegge se stesso e i suoi interessi economici, senza scrupoli e apertamente. Con l’intervento a favore di Ruby quel potere che sempre privatizza la funzione pubblica muove un altro passo verso un catastrofico degrado rendendo pubblica finanche la sfera privatissima dell’Eletto. In un altro Paese appena rispettoso del canone occidentale il premier già avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni. Nell’infelice Italia invece l’abuso di potere è il sigillo più autentico del dispositivo politico di Silvio Berlusconi. È un atteggiamento ordinario, un movimento automatico, una coazione meccanica”.

(Pierluigi Battista, Corriere della Sera) Le sentenze si rispettano, ma si possono commentare e criticare, come in ogni nazione libera. Negarlo è ipocrita. Come lo sarebbe negare che una condanna rigidissima, addirittura superiore alle pur severe richieste dell’accusa, possa evitare conseguenze politiche se ad essere considerato il vertice di una ramificata banda dedita a reati moralmente spregevoli è il capo di uno schieramento che compartecipa in modo determinante al governo del Paese. I risvolti giuridici sono discussi nelle aule del tribunale. Ma i media internazionali non si sarebbero mobilitati così massicciamente se si fosse concluso in primo grado un processo come un altro. E se non fossero stati convinti che la sentenza di ieri avrebbe ipotecato il futuro politico di questo Paese […]. Ma una sentenza così aspra, da rispettare certo e da non liquidare sbrigativamente come una «sentenza politica», mette in discussione la stessa legittimità morale del capo di un partito. Viene quasi rimproverata l’accusa di aver indicato un reato meno grave di quello sulla base del quale Berlusconi è stato condannato. E si intima perentoriamente di riconsiderare la posizione di tutti quelli che hanno testimoniato senza indicare in Berlusconi il «male assoluto», come a individuare una rete di complicità omertosa che esclude il carattere esclusivamente «personale» dello stesso Berlusconi, additato invece come il capo di una banda dedita alla prostituzione guidata dal presidente del Consiglio dell’epoca. Ci vuole autocontrollo e senso di responsabilità per non trascinare il governo nella spirale della divisione. Da ieri tutto sarà più difficile.

(Stefano Folli, Il Sole 24 Ore) […] È plausibile che la pressione politica del centrodestra sull’esecutivo si accentuerà intorno ai punti programmatici che costituiscono i cavalli di battaglia del Pdl: a cominciare da Iva e Imu, oltre alla politica fiscale ed europea. Più Berlusconi subisce i colpi dei giudici e non può fare altro per il momento che restare nella gabbia delle larghe intese, più cercherà di presentarsi come una sorta di “difensore civico” del popolo, proprio per questo ingiustamente perseguitato. È una carta da giocare, una delle poche che gli sono rimaste. La natura populista del centrodestra tenderà quindi ad accentuarsi: all’inizio in misura non dirompente, ma alla lunga la corda potrebbe spezzarsi. Specie se la Cassazione, che si che si pronuncerà sull’affare Mediaset entro la fine dell’anno, dovesse dar torto alla difesa.
Vedremo. Quel che è certo, Berlusconi è ancora un uomo che, come si è detto all’inizio, vale ancora quasi il 30% di elettorato. Eliminarlo per via giudiziaria, attraverso l’“interdizione dai pubblici uffici”, o per via politica, con quel giudizio di “ineleggibilità” che dovrebbe essere pronunciato dai suoi avversari in Parlamento (ma al quale il Pd non intende affiancarsi), avrebbe effetti destabilizzanti per la democrazia. Ma anche le convulsioni di una grande forza che si stringe sgomenta e in preda al panico intorno al leader pluri-condannato, è in sé un fattore di destabilizzazione. Nessuno al momento sa come uscire dalla contraddizione. L’unica idea è tener ferma la maggioranza, come un’isola intorno alla quale ribolle il mare. Ma la destra italiana da oggi deve porsi il nodo politico del dopo-Berlusconi. Almeno cominciare a pensarci. In fondo – ed è un’altra singolare coincidenza – è quello che suggeriva Romano Prodi ieri nella sua lettera al “Corriere”.

(Giampaolo Pansa, Libero) […] Oggi l’unico obiettivo di partiti che non vogliano comportarsi da irresponsabili dovrebbe essere quello di difendere il governo Letta-Alfano. Non soltanto per rendere onore al coraggio del premier e del vice premier, ma per consentire all’esecutivo delle larghe intese di fare con tranquillità il lavoro che il Parlamento gli ha affidato. Qualunque italiano di buon senso, e attento al proprio onesto interesse, sa che non esiste nessun’altra barriera in grado di difenderci dal caos in agguato […]. È disperante l’Italia che emerge in questo orribile 2013. Siamo diventati i campioni mondiali di tutti i vizi delle nazioni, impotenti a battersi per la propria salvezza. Offriamo al mondo il profilo indecente di un Paese lagnoso, pessimista, in preda al terrore per il proprio futuro. Ma così non avremo altra sorte che darci la morte da soli. Anche se fare il boia e al tempo stesso l’impiccato non si rivelerà semplice.

 

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