L’annosa questione della “morte dei blog” | T-Mag | il magazine di Tecnè

L’annosa questione della “morte dei blog”

di Fabio Ferri

blogBloggo quindi sono
Tutto è iniziato da un invito: “perché non apri un sito” (che nel gergo di mia madre significa un blog). Che in fondo è una buona idea, lavorando nel digitale, un blog dà opportunità di visibilità di fare networking e approfondire temi magari marginali, o non necessariamente mainstream: insomma un modo per coltivare una passione, e magari renderla spendibile sul mercato. Sono tanti i casi di successo, pensiamo all’insalata bionda di Chiara Ferragni che ha fatto scuola. Eppure il de profundis dei blog, e dei blogger, è stato già suonato.

Twitter killed the blogosphera?
Il web 2.0 creando nuovi spazi di condivisione di contenuti ha drenato il tempo (e l’attenzione) che un utente medio impiegava nel leggere quella notizia su di un blog. Allo stesso tempo i social media (buzz e condivisione) hanno permesso di allargare l’audience. Il rapporto tra chi legge un post direttamente sul blog (per fidelizzazione) e chi invece lo scopre attraverso Twitter è solitamente di 2 a 8. Un po’ come la distribuzione paretiana tra chi produce e chi semplicemente lurka, legge, i contenuti, su Twitter. Molto più semplice seguire l’account social di un blogger, che condividerà con me il suo ultimo post, che non ricordare di andare a controllare se ci sono aggiornamenti, o anche commenti ad un post che ho trovato interessante. Anche se poi una recente ricerca Ispo sembra rianimare il dibattito. I blog, aziendali soprattutto, sembrerebbero rinascere a nuova vita, anche se ancora i numeri delle visite (tranne qualche rara eccezione) non sono così promettenti.

Stavo rimuginando sul fatto o meno di (ri)aprire un blog, quando ho letto la notizia (su Twitter) che due dei blogger che seguivo con una certa attenzione avevano chiuso i battenti. Scrivendo il commiato ai loro lettori hanno spiegato perché dopo migliaia di follower e centinaia di post hanno deciso di concentrarsi su altro, sulla vita reale. I blog in questione, che hanno una propria storia diversa tra loro, in comune avevano il tema (macro) che trattavano: l’economia. Uno era Bimbo Alieno l’altro Phastidio [il nome del blog, seo a parte, è importante a volte tanto quanto l’argomento di cui si scrive].
Alla loro chiusura qualcuno ha scritto che ora che hanno raggiunto la fama, sono diventati delle twitstar, possono monetizzare il loro nome e i propri lettori. Ecco una buona notizia. Apro un blog, dopo qualche anno di ricerche (quotidiane), analisi (quotidiane), scrittura (quotidiana), socializzazioni (quotidiane), moderazione dei commenti (si spera non solo della propria madre): arriva la giusta ricompensa. Si entra nell’empireo delle celebrità twittarole. Che poi ad avere un contratto su qualche testata, e perché no anche sul piccolo schermo (sicuramente più grande di quello di uno smartphone) che monetizzi tutta ‘sta fatica è un attimo. L’importante è ricordarsi ogni tanto di riconnettersi col mondo reale, disconnettendo i propri account digitali.

segui @fabeor

 

3 Commenti per “L’annosa questione della “morte dei blog””

  1. Penso che il blog faccia troppo bene al ranking per essere considerato morto.

    Uno dei parametri rilevanti ai fini del posizionamento agli occhi del motore di ricerca è proprio la “freschezza” delle notizie.

    Cosa è meglio di un blog per avere semplicemente ed immediatamente notizie fresce da propinare ai bots di ricerca?

    Sembrerebbe nulla visto che anche tutti i siti enterprise ne ospitano uno (o più d’uno).

    Se il tema è invece l’utilizzo personale del blog credo che sia unicamente legato ai contenuti.

    Nel caso in cui i contenuti siano di interesse personale – e dintorni – immagino che utilizzerei un rss feed per sapere delle novità invece di consumare il tasto F5.

    Happy blogging 🙂

  2. ps

    I commenti non editabili mi arrecano dolore

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