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Istituzioni e non profit: come cambia l’Italia

nonprofitIl mondo del non profit cresce e si diversifica, la Pubblica Amministrazione si snellisce, il settore delle imprese subisce trasformazioni nel contesto della crisi e della globalizzazione. A confermarlo sono i risultati del 9° Censimento Istat su Industria e servizi, Istituzioni pubbliche e Non Profit. Alla rilevazione hanno partecipato oltre 300mila organizzazioni non profit, 13 mila istituzioni pubbliche e un campione di 260mila imprese (tutte quelle con 20 e più addetti e circa 190mila unità produttive di piccole e piccolissime dimensioni).
Al 31 dicembre 2011 le organizzazioni non profit attive in Italia sono 301.191, con un incremento del 28% rispetto al 2001, anno dell’ultima rilevazione censuaria sul settore. Più contenuto, ma sempre positivo, il dato relativo all’incremento di istituzioni con addetti (+9,5 per cento) con una crescita del personale dipendente pari al 39,4 per cento rispetto al 2001. Il non profit cresce soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, con punte più alte di presenza e attività in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Il settore conta sul contributo lavorativo di 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 270mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei. Nel tessuto produttivo italiano, il non profit occupa una posizione significativa: il 6,4 per cento delle unità economiche attive. Il settore della cultura e dello sport assorbe il 65 per cento del totale delle istituzioni non profit, seguito dai settori dell’assistenza sociale (con 25mila istituzioni), delle relazioni sindacali e di rappresentanza (16 mila realtà), dell’istruzione e ricerca (15mila istituzioni).
Il peso della componente non profit nell’assistenza sociale è significativo anche in termini di occupazione con 544 addetti ogni 100 nelle imprese.
Quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit (46,9 per cento) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.

Il censimento delle imprese si è articolato su due livelli: il primo ha consentito di migliorare le misurazioni delle caratteristiche strutturali delle imprese e dell’occupazione e di misurare con precisione i cambiamenti strutturali manifestatisi tra il 2001 e il 2011; il secondo, basato su una rilevazione che ha coinvolto un campione di 260mila imprese, ha approfondito la conoscenza dei fattori di competitività delle unità produttive, con particolare attenzione a quelle di piccola dimensione. Il confronto tra 2001 e 2011 è fortemente condizionato dal 2008, anno in cui la crisi economica ha investito i sistemi produttivi di tutti i Paesi europei e dell’Italia in particolare, interrompendo una fase di crescita che mostrava segni di accelerazione. Al 31 dicembre 2011, le imprese attive sono 4.425.950, con un aumento dell’8,4 per cento rispetto al 2001. Sul territorio, si registra un consistente aumento delle imprese nel Sud (12,2 per cento), seguono Centro (11,5 per cento) e Isole (10,7 per cento). Per quanto riguarda l’occupazione, la rilevazione censuaria registra 11,3 milioni di lavoratori dipendenti, 5,1 milioni di indipendenti, 421 mila esterni e 123mila temporanei. L’incremento rispetto al 2001 è modesto (+4,5 per cento); tuttavia nel corso del 2011, circa 295mila imprese con almeno tre addetti hanno effettuato nuove assunzioni: la percentuale più alta (31,4 per cento) si registra nell’industria. Per quanto riguarda la governance, si conferma il carattere familiare del sistema imprenditoriale italiano, che vede in oltre il 90 per cento delle imprese con almeno tre addetti una persona fisica come socio principale. Raramente il primo socio ha nazionalità estera, il fenomeno è più frequente in Toscana (5,1 per cento) e Lombardia (4,5 per cento).
La proprietà delle microimprese (tra 3 e 9 addetti) appare piuttosto stabile nel tempo: nel 72,7 per cento dei casi non vi è stato nel periodo 2006-2011 un passaggio generazionale, né è previsto per il 2012-2016. A capo delle microimprese nella maggior parte dei casi si trovano uomini al di sopra dei quarant’anni, diplomati, con precedenti esperienze di lavoro dipendente. Nelle regioni meridionali una minore età media degli imprenditori si associa a una quota mediamente più elevata di imprenditori senza precedente esperienza lavorativa.

Diminuisce il numero delle istituzioni pubbliche che, al 31 dicembre 2011, sono 12.183, il 21,8 per cento in meno rispetto alla precedente rilevazione del 2001. La riduzione è legata a una serie di interventi normativi e di processi di razionalizzazione che hanno portato negli anni alla trasformazione di enti da diritto pubblico a diritto privato e all’accorpamento tra istituzioni diverse. Nel 2011 i lavoratori attivi della PA sono poco più di 2,8 milioni, 116mila i lavoratori esterni, 11mila i lavoratori temporanei, 69mila i volontari impegnati nelle amministrazioni pubbliche, al netto dei militari e degli appartenenti alle forze di polizia. Tra gli enti locali, sono i Comuni ad aver subito la più forte contrazione del numero di addetti (-10,6 per cento), un po’ meno si registra nelle Regioni (-8,6 per cento). Solo le Province, le Comunità montane e isolane e le Unioni di comuni hanno aumentato nel decennio i dipendenti (+11,3 per cento le prime, +42,9 per cento le seconde) in coerenza con l’aumento del loro numero (da 102 a 109 le prime e da 355 a 573 le seconde). Tendenza opposta si osserva, invece, in Valle D’Aosta, Sicilia e Provincia autonoma di Trento che hanno visto aumentare il numero degli addetti in rapporto alla popolazione. La diminuzione del personale dipendente (-24,8 per cento) si riscontra anche nelle Altre istituzioni pubbliche (Camere di Commercio, ordini e collegi professionali, università ed enti di ricerca). Significativa anche la contrazione (-14,2 per cento) del numero di addetti negli Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e nelle amministrazioni dello Stato: Ministeri, Agenzie dello Stato, Presidenza del Consiglio.

(fonte: Istat)

 

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