Datagate, uno spionaggio sistematico
E’ inaccettabile spiare gli amici. E’ inacettabile siano essi capi di stato o semplici cittadini. Eppure è questo quello che è emerso dal cosiddetto datagate, lo scandalo aperto dalle informazioni riservate della NSA rese pubbliche dall’informatico Edward Snowden. L’ultimo tassello di questa intricata vicenda riguarda la sistematica intercettazione da parte dei servizi segreti americani di leader politici e militari stranieri. Il memo di Snowden rilanciato dal Guardian, datato ottobre 2006 dal titolo “Customers can hel SID to obtain targetable phone numbers”, oltre a denunciare le intercettazioni di leader stranieri evidenziava la dimensione strutturale e periodica dell’operazione di spionaggio. Da quanto traspare dal testo la National Security Agency americana incitava infatti la condivisione di dati sensibili da parte di funzionari di governo, dalla Casa Bianca al Pentagono. E’ proprio da uno di questi scambi di informazioni, riportato come esempio nel memo confidenziale, che i servizi segreti americani sarebbero entrati in possesso di 200 numeri di 35 leader europei. “Molti di questi recapiti”, sottolinea la nota riservata, “erano già disponibili liberamente ma 49 di questi furono acquisiti per la prima volta”. Questo tipo di attività garantiva al NSA un effetto valanga per cui “questi numeri procuravano delle informazioni in grado di condurre successivamente ad altri recapiti”. Proprio per questa ragione la NSA si premurava di reclutare un numero consistente di funzionari pubblici, trasformandoli, in qualche modo, in informatori dei servizi segreti. Pratica questa che emerge con irriverente veemenza nel testo pubblicato dal Guardian: “S2 (reparto dell’intelligence specializzato) apprezza molto queste informazioni!”. Periodicità, organicità e rilevanza delle intercettazioni sono dunque i punti cardine del memo, perfettamente riassunti in un passaggio cruciale della comunicazione. “Periodicamente il SID (Directors of the Signals Intelligence) aveva accesso ai database di contatti personali di funzionari degli Stati Uniti. Questi archivi potevano contenere informazioni su leader politici stranieri o capi militari e includevano linee dirette, fax, indirizzi e numeri di cellulare”. Indiscrezioni di tale portata non potevano non provocare un’accesa reazione da parte dei governi europei, chiamati direttamente in causa proprio dal documento pubblicato dal Guardian. Quello che viene messo in discussione, come riportato dalle dichiarazioni di molti capi di governo interessati dalla vicenda, è il rapporto di fiducia che dovrebbe esistere fra paesi amici ed alleati. Una mancanza di credito che rischia di allargarsi a macchia d’olio. Mentre, infatti, Francia e Germania, i paesi più colpiti secondo le informazioni riportati da Le Monde e Der Spiegel, chiedono con forza un accordo bilaterale con gli Stati Uniti per proteggere la privacy dei propri abitanti già si diffondono rivelazioni sul coinvolgimento di altri servizi segreti. La posizione più delicata sarebbe quella degli 007 britannici, ma anche l’intelligence italiana avrebbe avuto un suo coinvolgimento (secondo le dichiarazioni di Greenwald, il giornalista depositario delle rivelazioni di Snowden, rilasciate all’Espresso, già smentite dal Copasir). Andando oltre l’eco di queste indiscrezioni, oltre le polemiche e le prove di forza diplomatiche che si susseguiranno, l’intero datagate lascia aperti inquietanti interrogativi sulla facile disponibilità di molti dati sensibili. Lo sforzo necessario e congiunto da parte di tutti i governi, superata la stringente attualità, dovrà essere quello di trovare le giuste contromisure per difendere una privacy ancora palesemente troppo vulnerabile.