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Quando l’Italia discrimina le donne

donne_lavoro_crisi_economicaDopo una serie di maglie nere consegnate all’Italia dall’Ocse su parametri come il benessere, la crescita economica, il mercato del lavoro e l’istruzione arriva anche quella per la disparità retributiva di genere. Già il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, attraverso una ricerca aveva rilevato che nel nostro Paese, a parità di qualifica e impiego, la differenza di retribuzione tra uomini e donne si attestava, nel 2011, tra il 10 e il 18%. Una disparità che riguarda un po’ tutte le categorie: dalle operaie con il -21% alle impiegate con il -16%; dalle dirigenti e le imprenditrici con il -13% alle lavoratrici delle società che si occupano di servizi finanziari con il -22%.
Nonostante nel 2011 il numero delle laureate superasse nettamente quello dei laureati maschi, a un anno dal conseguimento del titolo, la percentuale di donne occupate era pari al 62%, contro il 66% degli uomini. Come spiegava Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè, analizzando i dati AlmaLaurea, “le donne hanno tassi di occupazione più bassi, tempi d’inserimento nel mercato del lavoro più lunghi, quote più elevate di lavoro precario, livelli più bassi di occupazione a tempo pieno. Inoltre, usano molto meno dei colleghi maschi le competenze acquisite, sono meno soddisfatte delle prospettive di carriera e hanno retribuzioni significativamente più basse. Una volta entrate nel mercato del lavoro, l’interruzione per il periodo di maternità rappresenta, spesso, un ostacolo ai percorsi di carriera e la presenza di figli costituisce uno dei principali fattori di segregazione per quanto riguarda la disparità di trattamento retributivo e la possibilità di avanzamento professionale, soprattutto in contesti fortemente carenti di infrastrutture sociali. La mancanza di politiche di conciliazione costringe le donne a uscire dal mondo del lavoro, ne impedisce la continuità lavorativa, limita le loro opportunità di carriera. Discriminazioni inaccettabili alla luce del fatto che le donne possiedono, mediamente, requisiti di formazione superiori a quelli degli uomini”. Secondo le rilevazioni dell’Ocse, aggiornate al 2010 e contenute nel Rapporto How’s life 2013, le donne italiane lavorerebbero complessivamente undici ore a settimana in più degli uomini. Oltretutto, gran parte del loro lavoro in eccesso non sarebbe retribuito, come ad esempio quello domestico legato alla casa e alla famiglia. Stando ai dati contenuti nel rapporto la donna lavorerebbe in Italia 58,6 ore a settimana contro le 47,7 in media dell’uomo. Gli uomini non vedrebbero retribuite solo 14,5 ore.
Il gender gap colloca il nostro Paese al primo posto tra i 34 Paesi membri dell’Organizzazione nella classifica per la differenza di genere del lavoro non pagato. Mentre la differenza italiana si attesta a 21 ore in più non pagate alle donne rispetto agli uomini, in Francia la differenza si attesta a 12,6 ore, in Gran Bretagna a 12,2 ore, negli Stati Uniti a 9,5 ore e in Germania a 6,6 ore. Secondo l’Ocse la disparità nel lavoro domestico accrescerebbe ancor di più le diseguaglianze di genere nell’accesso “a opportunità e risorse economiche”. Questo perché – spiega l’Organizzazione – “grosse responsabilità per il lavoro domestico incidono direttamente sulla decisione della donna di inserirsi nel mercato del lavoro e nel numero di ore che possono dedicarvi”.

 

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