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La legge elettorale e la politica utile

La legge elettorale non stabilizza il sistema politico. L'offerta politica è cambiata in trent'anni, ma il Paese non si è salvato dal declino. Il crollo del Pil nell'ultimo decennio testimonia la miopia politica e governi che hanno rinviato le riforme
di Carlo Buttaroni

elezioni_votoPer quasi quarant’anni l’offerta politica nel nostro Paese ha avuto come punto di riferimento tre partiti: DC, PCI e PSI. Intorno alle culture che esprimevano, quella cattolica e popolare, quella comunista e quella socialista, ha preso forma il sistema politico del nostro Paese.
Le elezioni politiche del 1987 sono state le ultime a svolgersi con tutti i partiti tradizionali ancora in campo. Da quel momento il quadro dell’offerta politica ha cominciato a mutare in maniera vorticosa, senza trovare più una configurazione stabile.
Nelle elezioni politiche nel 1992 si ravvisano i primi segnali delle trasformazioni che di lì a poco avrebbero cambiato completamente l’offerta politica pre-esistente. Non c’è più il Partito comunista, la cui trasformazione riflette i mutamenti degli equilibri politici mondiali (simboleggiati nella memoria collettiva dalla caduta del muro di Berlino). Alle elezioni si presentano due partiti di sinistra eredi del PCI: il PDS e Rifondazione Comunista, che ottengono, insieme, 8,5 milioni di voti. Ci sono ancora la DC (che perde consensi rispetto a 5 anni prima) e il PSI. Si afferma, per la prima volta, la Lega, verso cui confluiscono 3,4 milioni di voti, provenienti prevalentemente da ex elettori PCI e DC delle aree industriali del Paese.
Ma siamo solo all’inizio dei cambiamenti perché, due anni dopo, lo scenario è completamente diverso. Siamo nel 1994. Questa volta, l’epicentro del terremoto è nel “pentapartito”, cioè nella coalizione di forze che ruotano intorno all’alleanza DC e PSI. L’inchiesta “mani pulite”, sviluppatasi nel frattempo, colpisce al cuore i due partiti. Alle elezioni politiche i consensi di DC e PSI scendono a 5,1 milioni di voti, cioè 11,8 milioni in meno delle elezioni precedenti. Ma il ’94 è soprattutto l’anno di Forza Italia, che ottiene 8,1 milioni di voti, in gran parte provenienti da ex elettori democristiani e socialisti. L’altra novità è AN (erede del MSI) che diventa la terza forza politica del Paese e un buon successo lo ottengono sia il PDS che il partito di Mario Segni, ispiratore dei referendum che danno un’impronta bipolare al sistema elettorale italiano. E’ l’inizio di quella che è stata denominata, seppur impropriamente, seconda Repubblica.
Il sistema politico, però, è destinato ancora a cambiare. E’ il 1996 e gli italiani sono chiamati di nuovo alle urne. E’ l’anno di Prodi che vince le elezioni, coalizzando il centrosinistra sotto la bandiera dell’Ulivo. La contabilità elettorale segna un risultato negativo per Forza Italia che perde quasi 400 mila voti, mentre guadagnano consensi sia AN che la Lega. Sul fronte opposto registra un buon risultato Rifondazione Comunista, che cresce di 900 mila voti rispetto a due anni prima.
Passano cinque anni e l’offerta politica registra ancora novità sostanziali. Alle elezioni del 2001 si presenta per la prima (e unica) volta “La Margherita”, all’interno della quale confluiscono i popolari (ex DC) e i “democratici” (la neoformazione ispirata a Romano Prodi). La Margherita raccoglie 5,4 milioni di voti e si afferma come terza forza politica. Nel frattempo il PDS è diventato DS. A vincere le elezioni è Forza Italia, che ottiene 3,2 milioni di voti in più rispetto alle precedenti elezioni, mentre tutti gli altri principali partiti fanno registrare un saldo negativo. I DS scendono di 1,7 milioni di voti, Rifondazione Comunista di 1,3 milioni. Anche a destra l’emorragia è consistente: AN perde 1,4 milioni di voti, La lega 2,3 milioni.
Ma il sistema politico (e gli elettori) non hanno tempo di assestarsi. Nel 2006 per la prima volta si vota con il “porcellum” e alle elezioni non ci sono né la Margherita né i DS ma l’Ulivo, che ottiene 11,6 milioni di voti. Forza Italia, che nel frattempo ha cambiato simbolo, perde 1,9 milioni di voti, a vantaggio di AN e Lega.
Passano altri due anni e cambia ancora l’offerta politica. E’ il 2008. Questa volta la legge elettorale è la stessa della tornata precedente ma non ci sono più gli stessi partiti. E’ la prima volta, infatti, di PD e PDL. I democratici raccolgono 12,1 milioni di voti, il PDL, nato dall’unione di Forza Italia e AN, ne raccoglie 13,6 milioni.
Le elezioni del 2013 sono storia recente. I cambiamenti dell’offerta, per la prima volta, non derivano da divisioni o confluenze e non hanno “ceppi” politici da cui traggono origine. CI sono sia il PD che il PDL, ma è l’anno del Movimento Cinque Stelle, che ottiene 8,7 milioni di voti, mentre i due principali partiti perdono complessivamente quasi 10 milioni di voti. Il successo di Grillo non ha termini di paragone con il passato. Anche Forza Italia nacque improvvisamente nel ’94 ottenendo uno straordinario risultato, ma sul “ground zero” del pentapartito (Dc, Psi e alleati). Alle elezioni del 2013, il Movimento cinque stelle si fa spazio tra le forze politiche esistenti, nonostante queste siano comunque in campo, e ben attrezzate, con i loro apparati del consenso.
E’ di questi giorni l’ennesimo cambio nel panorama politico, segnato da un ritorno (quello di Forza Italia) e da una scissione (quella del Nuovo Centrodestra). Vicende che forse chiariscono gli equilibri di governo ma che non dicono nulla di nuovo al sofferente sistema politico italiano.
Abbiamo tralasciato tutte le vicende che hanno visto il formarsi e lo sciogliersi di una miriade di formazioni politiche minori. Ma è una ricostruzione che evidenzia l’instabilità del nostro sistema politico. E non basterà certo una nuova legge elettorale a dargli solidità e quegli orizzonti lunghi che oggi mancano alla politica italiana.
Un’instabilità che si riflette negli andamenti economici. Basti pensare che il Pil dell’Italia è cresciuto del 55,7% negli anni sessanta, del 45,2% negli anni Settanta, del 26,9% negli anni Ottanta e del 17% negli anni Novanta. Nel decennio 2000-2010 la crescita è stata appena del 2,5%. Non è la prova ma un indizio che all’aumentare dell’entropia politica, il Paese ha progressivamente peggiorato le proprie performance economiche. Ciò che è certo, invece, è che la crisi economica ha solo drammaticamente accelerato il declino del Paese, mettendo un segno meno davanti al Pil. La bassa crescita dell’Italia è precedente e si è alimentata, in questi anni, di una politica troppo impegnata a contabilizzare in fretta il consenso e a non fare, o ritardare, quegli investimenti sul futuro che richiedevano cicli di vita più lunghi di una sola tornata elettorale. Oggi paghiamo a caro prezzo questa miopia.

Questo articolo è stato pubblicato su l’Unità del 18 novembre 2013. Sfoglia l’indagine Tecnè in pdf

 

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