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Luci e ombre sul “presidente del sorriso”

di Antonio Caputo

jfkIl presidente che più di ogni altro ha fatto sognare gli americani, il presidente del sorriso, la cui uccisione verrà simbolicamente indicata come “il sogno spezzato”, l’alfiere della distensione e dei diritti civili, l’uomo dalla vita e dalla famiglia favolose? O un incapace, invischiato in scandali mai chiariti, bravo solo come “parolaio” ma la cui amministrazione non ha prodotto nulla di concreto? A 50 anni dall’uccisione di Dallas, la storiografia si divide su un uomo, che, al di là dei risultati, è stato uno dei presidenti americani più amati di sempre, e la cui popolarità ed il cui mito sono stati (ovviamente) accresciuti dalla sua morte.
Ma chi era John Kennedy? Bostoniano, classe 1917, il più giovane presidente eletto (la notte dell’elezione aveva 43 anni e mezzo) della storia Usa (ma non il più giovane presidente in carica, “titolo” che spetta al repubblicano Teddy Roosevelt, asceso, a 43 anni non ancora compiuti, alla Casa Bianca, nel settembre 1901, a seguito dell’uccisione dell’allora presidente William McKinley, di cui era vice) era, al momento dell’elezione, Senatore del Massachusetts. Proveniente (l’unico presidente finora) da una famiglia cattolica (eppure era favorevole all’aborto: una contraddizione in termini), di origini irlandesi e ricca, John Kennedy, amante delle belle donne (intrattenne tra le tante una relazione con Marylin Monroe) ebbe un’intensa vita sentimentale. Sposato con la bellissima Jacqueline, dal suo matrimonio nacquero quattro figli, due dei quali morti da neonati; gli altri due erano Caroline (in ballo per la nomina a Senatrice di New York, in sostituzione di Hillary Clinton, divenuta segretario di Stato con Obama), e John John, morto tragicamente nel 1999 in un incidente aereo.
Esponente dell’ala liberal del Partito democratico, quella che più si batteva per i diritti civili in un partito nel quale molti esponenti (soprattutto ma non solo al Sud, fino a quel momento roccaforte elettorale democratica) affondavano le radici nel passato dello schiavismo e della segregazione, in vista delle elezioni presidenziali Kennedy, che si affermò nelle primarie dopo una dura battaglia interna, aveva necessità di controbilanciare le proprie spinte “liberal”; cosa che fece scegliendo, come vice, proprio uno dei competitor delle primarie, il moderato senatore del Texas, Lyndon B. Johnson.
Il ticket democratico vinse in maniera assai sofferta contro il vicepresidente repubblicano uscente, Richard Nixon, dopo un incredibile testa a testa, con sospetti di brogli, in numerosi Stati (Illinois e Texas in primis, nei quali un ruolo non secondario giocarono le cosche mafiose) e con contestazioni e ricorsi che da parte repubblicana si protrassero, nonostante Nixon avesse riconosciuto la sconfitta la notte stessa delle elezioni.
Per superare la divisione elettorale, il neopresidente chiamò a raccolta il Paese che rispose con entusiasmo: il 20 gennaio 1961, per la sua cerimonia d’insediamento, arrivarono a Washington DC oltre un milione di persone. All’America, vissuta, per oltre un secolo, col mito della “Frontiera”, Kennedy parlava di “Nuova Frontiera”, uno slogan caleidoscopico, che significava tante cose (progresso economico, cooperazione internazionale coi Paesi più poveri, specialmente del Sud America, conquista dello spazio, e soprattutto diritti civili).
Ma, slogan a parte, se ci si interroga sui risultati raggiunti dalla sua amministrazione, se ne deve conseguire che le realizzazioni furono modeste: certo, il tempo a disposizione non fu molto, ma in quasi tre anni era lecito attendersi di più.
L’inesperienza in politica estera causò la disastrosa spedizione alla Baia dei Porci (Cuba), nel tentativo, miseramente fallito, di rovesciare il regime castrista. Risultato: Castro trasformò il suo regime in comunista e si avvicinò all’Urss, facendo di Cuba un avamposto sovietico proprio sotto l’America. Un esempio della pericolosità del passaggio della “Isla Grande” nell’orbita russa si ebbe nell’autunno 1962, quando il mondo fu ad un passo dalla terza guerra mondiale, evitata per un soffio, grazie, in buona misura, alle mediazioni vaticane culminate nel drammatico appello di Giovanni XXIII alla pace. Ancora, è del 1961 lo smacco sovietico della costruzione del Muro di Berlino (ma memorabile resterà il discorso kennedyano nella città tedesca “Ich bin berliner”); e fu Kennedy ad iniziare la disastrosa avventura in Vietnam inviando oltre 10000 “osservatori militari”, anche se la guerra fu messa in conto ai successori, Johnson (con cui si ebbe l’escalation) e Nixon (che incrudelì il conflitto).
Anche in politica interna i risultati si rivelarono modesti, specialmente nel campo dei diritti civili, tanto che Martin Luther King gli lanciò un duro atto di accusa: “Si è accontentato di un progresso fittizio nelle questioni razziali”.
Si arriva così a Dallas, il 22 novembre 1963: il presidente, accompagnato dalla First Lady, era in tour elettorale in vista delle presidenziali dell’anno dopo. In tarda mattinata, durante la visita, Lee Oswald esplode, da un palazzo di fronte, dei colpi di pistola contro l’auto presidenziale, colpendo Kennedy con precisione chirurgica. Oswald a parte (peraltro ucciso a sua volta a sangue freddo, quasi subito), le circostanze della morte del 35° presidente USA verranno chiarite dalla Commissione Warren, chiamata a far luce sull’assassinio.
Ai funerali, commosse il mondo il “saluto militare” alla bara, fatto dal figlioletto John John, rimasto orfano a soli tre anni.
A 50 anni dall’uccisione, però, ancora c’è chi giura che le cose andarono diversamente. Le ipotesi più accreditate sembrano quelle del mandante straniero (Cuba o l’Urss), di una vendetta mafiosa, che spazia, dalla relazione tra il presidente e la moglie di un boss, al non aver mantenuto (in cambio dell’appoggio negli Stati-chiave) i patti (Kennedy nominò ministro della Giustizia il fratello Bob, il quale lottò senza quartiere contro le cosche); addirittura alcuni vedono, dietro la morte del presidente, lo zampino del vice, legatissimo alle lobbies industriali texane (acciaio e petrolio) che non vedevano di buon occhio JFK.
Fatto sta che la sera dell’uccisione, Lyndon Johnson giura da presidente. Al di là delle circostanze opache che ne favorirono l’ascesa, Johnson si rivelerà uno dei migliori presidenti: le realizzazioni in materia sociale (diritti civili, welfare per i poveri, a partire dall’assistenza sanitaria, conquista dello spazio) saranno merito molto più suo che di Kennedy.

 

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