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È giustificata la sfiducia di Rehn?

di Giampiero Francesca

olli_rehnSolo buone intenzioni. Così si ridurrebbero gli impegni presi dall’Italia per rientrare nei parametri del patto di stabilità europeo, secondo Olli Rehn; un tentativo dalla dubbia efficacia. Da qui la sfiducia annunciata dal vicepresidente della Commissione europea, responsabile per gli affari economici, che tante polemiche e reazioni ha scatenato nel nostro paese. Non fa parte infatti dei compiti del Commissario quello di esprimere pareri personali sulla situazione degli Stati membri, soprattutto se, come in questo caso, non avvalorati da dati concreti. Analizzando i principali parametri di riferimento l’Italia non sembra scostarsi dall’andamento generale dell’Eurozona e degli altri suoi singoli componenti. Richiamando alla memoria le parole scritte nel trattato di Maastricht, “la sostenibilità della situazione della finanza pubblica risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da un disavanzo eccessivo”. Affermazione che si traduce in sostanza nelle regole del patto di stabilità e crescita, adottate nel 1997, inerente al controllo delle politiche di bilancio con particolare riferimento a due parametri: il rapporto fra deficit pubblico (l’ammontare della spesa statale non coperta dalle entrate) e PIL non superiore al 3% e il rapporto fra debito pubblico (il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti economici, nazionali o esteri, che hanno sottoscritto un credito allo Stato nell’acquisizione di obbligazioni o titoli di stato destinati a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario statale) e PIL non superiore al 60%. Parametri a cui si aggiungono quelli relativi al cosiddetto Fiscal compact, o Patto di bilancio europeo, approvato il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1 gennaio 2013, che prevede, fra l’altro, il perseguimento del pareggio di bilancio, l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL e una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5%) all’anno, fino al rapporto del 60% sul PIL nell’arco di un ventennio. E’ in particolare su questi punti che il Commisario Olli Rehn si è soffermato, come chiaramente affermato nell’intervista rilasciata a Repubblica il 3 dicembre: “L’Italia deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito, e non lo sta rispettando. Per farlo, lo sforzo di aggiustamento strutturale avrebbe dovuto essere pari a mezzo punto del PIL, e invece è solo dello 0,1 per cento”. Ma in sostanza, qual è la situazione del nostro paese? E quale quella più generale dell’Eurozona? Il moloc di tutti i paesi sembra essere dunque il rapporto fra deficit e PIL inferiore al 3%. Questo numero magico è stato però raggiunto, nel 2012, solamente da sei stati (fra cui l’Italia) dei diciassette totali. Resta fuori anche la Francia (con un rapporto deficit/PIL pari al 4,8%), brilla la Germania (unica in attivo con un surplus dello 0,2%) mentre toccano livelli da record negativi la Grecia e la Spagna (rispettivamente con un livello deficit/PIL di 10% e 10,6%). Considerando tutti e diciassette paesi la media UE si attesta al 3,7%. Non è certo dunque da questo punto di vista che la situazione italiana può scoraggiare. Altro discorso va però fatto riguardo al nostro debito pubblico, annoso fardello che opprime la nostra economia. Anche in questo caso solo cinque paesi hanno rispettato, nel 2012, il vincolo del rapporto al 60% fra debito pubblico e PIL, nessuno fra le grandi nazioni (Estonia, Finlandia, Lussemburgo, Slovacchia e Slovenia). Seppur in un contesto di generale infrazione l’Italia, con il suo 127%, appare comunque più in difficoltà di paesi come la Germania (81,9%) o Francia (90,2%), risultando in linea con alcuni fra i peggiori Stati UE (Irlanda 117,6%; Portogallo 123,6%). La continua crescita del debito pubblico non è però una prerogativa italiana. Tutti i grandi paesi europei infatti arriveranno o supereranno, nel 2013, i 2 miliardi di debito (Italia, 2,041 miliardi; Germania, 2,148 miliardi; Francia, 1,948 miliardi). Quello che però pesa e continuerà a pesare è il denominatore del rapporto, il PIL. Il prodotto interno lordo dal 2007 ad oggi è sceso in Italia di 8,65 punti percentuali mentre è rimasto invariato in Francia (+0,67%) ed è nettamente cresciuto in Germania (+4,25%). I dati, ancora una volta, rivelano dunque molto di più di qualsiasi teoria o scetticismo. Senza una ripresa economica reale, senza un cambio di tendenza del nostro PIL, qualsiasi tentativo di contenimento o rientro del debito si potrebbe rivelare inefficace.

 

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