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Crisi e lavoro nel rapporto Censis

di Giampiero Francesca

lavoro_scoraggiatiCrisi economica, sviluppo e lavoro sono temi sempre presenti nelle prima pagine dei giornali e nelle discussioni degli italiani, ma qual è la reale situazione del nostro paese? La pubblicazione del 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis è lo spunto ideale per mettere a fuoco la nostra società attraverso un caleidoscopio di dati e informazioni in grado di restituire un quadro completo del nostro paese. Un quadro che conferma l’incertezza generale che avvolge l’Italia, a iniziare dalle prospettive lavorative degli italiani che non sembrano nutrire grande fiducia nelle possibilità professionali offertegli (25% crede che la propria condizione lavorativa andrà peggiorando, il 14,3% pensa che avrà a breve una riduzione del proprio reddito da lavoro e il 14% di poter perdere l’occupazione). I dati sull’occupazione, che segano, nel 2013, un -8,1% (con 476.000 posti di lavoro persi, di cui, ben 200.000 tra i 35 e i 44 anni), uniti ai 6 milioni di occupati precari o in posizione instabile non aiutano a migliorare un quadro che appare molto cupo. Sembrano in crisi, in particolare, i settori più tradizionalmente trainanti come le costruzioni (-10,8%), la manifattura (-10,2%), la logistica (-3,8%), il commercio (-1,3%) e l’artigianato, le cui imprese sono calate, negli ultimi tre anni di 50.000 unità. Questo ultimo settore sembra risentire, in particolar modo, di un forte disinteresse giovanile. Secondo un’indagine Censis-Confartigianato sugli studenti degli ultimi due anni di scuola superiore o professionale solo l’11,9% appare già indirizzato verso un futuro artigiano, mentre il 31,4% si dichiara disponibile a svolgere un mestiere artigiano solo se non troverà nessun altro lavoro e il 37,3% esprime un rifiuto categorico e incondizionato. Non tutti i settori però sono condizionati dalla crisi.
In controtendenza risultano infatti le attività professionali di tipo tecnico-scientifico (+2,3%), quelle di programmazione, consulenza informatica e affini (+4,7%), e, quasi sorprendentemente, quello dell’agricoltura, in cui le aziende più giovani, nate dopo il 2000, sono cresciute del 15%. Soffermandosi ancora sui giovani il problema delle prospettive lavorative non può non essere collegato alla più generale situazione dell’istruzione in Italia. Da un’indagine Censis sulle imprese guidate dai Cavalieri del lavoro si evidenzia, nel confronto tra ragazzi italiani e stranieri, una preparazione tecnica non sempre all’altezza delle aspettative del mercato (il 12,2% degli imprenditori ritiene i nostri competitivi, a fronte del 65,5% che invece preferisce i giovani di altri Paesi). Quello che si rileva è dunque sia una insufficiente preparazione specializzata sia una più globale debolezza nell’istruzione superiore. Sono gli stessi rettori universitari, appositamente interpellati dal Censis, ad evidenziare i fattori di intervento più efficaci per aumentare la competitività, fra cui spiccano il miglioramento della qualità dei servizi e delle strutture di supporto alla didattica (73,8%), lo sviluppo di collaborazioni internazionali nelle attività di ricerca (54,8%) e percorsi di laurea a doppio titolo con atenei stranieri (52,4%). Per chi invece sceglie percorsi differenti da quello universitario, numerose e diversificate sono le azioni intraprese dagli istituti professionali, finalizzate a garantire il raccordo tra studio e lavoro, come l’attivazione di stage (74,3%) o di percorsi in alternanza scuola/lavoro (72,9%). Sforzi e proposte evidentemente ancora non adeguati che devono scontrarsi, fra l’altro, con il grande divario che divide il centro-nord dal meridione del paese. Basta infatti notare la differenza fra la media dei giovani fra i 18 e i 24 anni, in possesso al massimo della licenza media, che non frequentavano altri corsi scolastici o attività formative, pari al 17,6% (dato di per se piuttosto distante dalla media europea del 12,8%) e la situazioni delle regioni del sud, in cui il dato tocca il 21,1%, per rendersi conto di questo gap. Una distanza che non riguarda solo il livello di istruzione. Il tasso di occupazione scende, nel secondo trimestre del 2013, nel meridione, al 42,1%, mentre si attesta, a livello nazionale, ad un non esaltante 55,7%, a fronte di un tasso di disoccupazione che sfiora, al sud, il 20% (8 punti in più rispetto alla media del Paese). Prendendo poi come riferimento il Pil, l’incidenza del Mezzogiorno sul totale nazionale cala dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012 (con una perdita di 41 miliardi di euro, pari al 36% dei 113 miliardi persi dall’Italia a causa della crisi economica) mentre si contano, nel 2013, 39.500 imprese in meno rispetto al 2009, di cui 9.900 nel settore manifatturiero. In termini di Pil pro-capite il Centro-Nord (31.124 euro per abitante) appare in linea con i Paesi più ricchi (Germania; Pil pro-capite 31.703 euro) mentre i livelli del Mezzogiorno (meno di 18.000 euro per abitanti) sono fra i peggiori dei tutta l’eurozona, vicini a quelli della Grecia (18.500 euro di Pil pro-capite). Una disparità che rappresenta dunque uno dei principali problemi del nostro paese al quale si affianca, secondo il Censis, una scarsa produttività lavorativa a livello nazionale. In Italia ogni unità di lavoro produce, in media, 32 euro per ogni ora lavorata, cifra poco superiore al sistema produttivo spagnolo (31,5 euro) e sostanzialmente equivalente alla media comunitaria, ma ben distante dai principali Paesi dell’Unione europea (45,4 euro della Francia, ai 42,6 della Germania e ai 39,3 del Regno Unito). Fra le cause di questa debolezza va sicuramente annoverato l’aspetto motivazionale, a sua volta prodotto dal basso grado di soddisfazione dell’ambiente lavorativo e da un welfare percepito come insoddisfacente. Parte della nostra fragilità strutturale riguarda dunque tutto il territorio italiano. Tra il 2009 e il 2012, in un campione di 56 fra i principali distretti industriali, il Censis ha stimato una flessione del numero di imprese collocate nelle singole filiere di specializzazione pari al 3,8%, quasi 2.000 unità produttive uscite dal mercato in un breve arco temporale.

 

1 Commento per “Crisi e lavoro nel rapporto Censis”

  1. […] evidenziano lo stato di difficoltà del nostro sistema economico. Come rilevato nel rapporto del Censis, in particolare, a soffrire maggiormente di questa perdurante stagnazione sono alcune categorie, […]

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