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La crisi aumenta le disuguaglianze

di Matteo Buttaroni

tasche_vuote_crisi_economica_povertàRecenti studi hanno tentato di spiegare le conseguenze della crisi economica in termini di disuguaglianza nella distribuzione del reddito, di povertà e di coesione sociale. Come nel caso, ad esempio, di Paolo Acciari e Sauro Mocetti che nell’indagine Una mappa delle disuguaglianze del reddito in Italia di Bankitalia, analizzano i dati delle dichiarazioni dei redditi fornite dal Mef, con il fine, appunto, di tirare le somme sulla distribuzione del reddito a livello territoriale.
Conoscendo i divari territoriali, soprattutto quelli a livello economico come l’occupazione, la disoccupazione, la produttività, non c’è da stupirsi se alla fine tali paramentri si riflettano sui redditi. Prima di procedere con i numeri veri e propri bisogna però, essendo uno studio basato sulle dichiarazioni dei redditi, tenere conto dell’evasione fiscale (per la quale l’Italia detiene la maglia nera d’Europa). I dati analizzati, che vedremo nel dettaglio più avanti, hanno dimostrato che “nel 2011 – si legge in testa allo studio – l’indice di Gini, la misura più comune della disuguaglianza, era pari al 40%. Nel Mezzogiorno l’indice era superiore di oltre tre punti percentuali rispetto al Centro Nord, soprattutto a causa della minore quota di reddito detenuta dalla coda bassa della distribuzione. La disuguaglianza è inoltre più elevata nelle maggiori aree metropolitane. L’indice di Gini è aumentato negli anni interessati dalla crisi economica, a fronte di una tendenza di segno opposto nella prima metà degli anni duemila. Tali dinamiche sono state trainate da una flessione dei redditi, più accentuata per quelli inferiori alla mediana. Sono tornati, inoltre, ad ampliarsi i (già marcati) divari territoriali”.
Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Economia nel 2011 i contribuenti erano 41,3 milioni, pari all’85% della popolazione adulta. Un dato in aumento di oltre il 7% rispetto al 2000 e in calo dello 0,8% rispetto al 2007. Nell’area del Centro Nord i contribuenti rappresentavano quasi il 90% della popolazione adulta contro il 76% del Mezzogiorno. Il divario in questo caso è ovviamente legato al diverso tasso di occupazione delle due macro aree.
In totale, nel 2011, il reddito netto dichiarato era di 652 miliardi di euro, in aumento del 14% rispetto al 2000 ma in calo del 4,5% sul 2007. Per quanto riguarda il reddito pro capite, rapportato alla popolazione complessiva, nel 2011 era di circa 10,8 mila euro a fronte degli 11,6 mila del 2007, e dei diecimila nel 2000.
Come già detto le aree con una distribuzione del reddito più diseguale nel 2011 erano maggiormente concentrate nel Mezzogiorno, in particolare Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
Analizzando invece la situazione basandosi solo sulla quota di reddito detenuta dai top incomes (termine con cui si fa riferimento all’1% più ricco) il divario tra il Centro Nord ed il Mezzogiorno va quasi ad annullarsi. “Il 10% dei contribuenti più ricchi – spiega l’analisi della Banca d’Italia – deteneva il 28,7% del reddito complessivo netto, l’1% più ricco deteneva il 6,9%. Le province caratterizzate da una più elevata quota detenuta dai top incomes sono quelle delle più importanti aree metropolitane. Su tutte, Roma e Milano con una quota di circa il 32%”.
Va anche notato che la disuguaglianza tende anche ad essere persistente nel tempo. Tuttavia tra il 2000 ed il 2007 l’indice Gini è diminuito dello 0,7% (-1,7% nel Mezzogiorno e -0,3% nel Centro Nord). Al contrario le oscillazioni delle quote dei top incomes sono state più contenute: la quota del reddito detenuta dal 10 e dall’1% più ricco dei contribuenti è infatti sostanzialmente in linea con quello osservato prima della crisi. Questo sta a significare, in conclusione, che mentre i poveri, soprattutto al Sud, aumentavano, i ricchi non diminuivano, almeno non in modo sostanziale.

 

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