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Crisi e lavoro, si riparla di Art. 18

di Fabio Germani

lavoro_imprese-1024x683A intervalli di tempo più o meno regolari, ogniqualvolta cioè che il lavoro è al centro dell’agenda politica, torna in auge l’annosa questione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Di recente è stato il segretario del Pd, Matteo Renzi, a definirlo un “totem ideologico”, espressione di montiana memoria ai tempi della riforma Fornero. Quando ne parlammo a novembre con il professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano, Maurizio Del Conte, l’osservazione fu che “l’intervento sui licenziamenti ha prodotto un ulteriore aumento dell’incertezza”.
“Il nuovo articolo 18 – spiegò in quell’occasione Del Conte – pone una serie di questioni interpretative ancora irrisolte, sia sotto il profilo processuale che sotto quello sostanziale. Il risultato è stato l’aumento delle fasi del giudizio e la scarsa prevedibilità sulla applicazione da parte del giudice del rimedio economico in luogo della reintegrazione”. Il job act, che il Pd intende presentare già a gennaio e che ricorda in alcuni suoi punti il modello danese della flexicurity, ipotizza un contratto unico a tempo indeterminato (con più flessibilità in uscita) e maggiori tutele sociali a protezione di quanti perdono il lavoro. Si tratterebbe di una misura complessiva visto che l’articolo 18 tutela una platea di lavoratori assai ridotta rispetto all’esercito dei precari. La crisi e la conseguente chiusura di molte imprese, dove risiede il problema, hanno fatto poi il resto: il tasso di disoccupazione è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani. Resta però aperta la questione dei fondi da destinare a misure tanto ambiziose.
L’annuario statistico dell’Istat (che però si riferisce al 2012) può tornare utile per comprendere meglio le dinamiche del mercato del lavoro. “Nel 2012 – spiega l’Istat – sono 22 milioni 899 mila gli occupati, 69 mila in meno su base annua. Il risultato complessivo è la sintesi di una riduzione della componente italiana (-151.000 unità), controbilanciata dall’aumento di quella straniera (+83.000). La quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati raggiunge il 10,2% (9,8% nel 2011). Continua a crescere il numero degli occupati ultracinquantenni (+287.000 unità) mentre scende quello degli occupati più giovani (-297 mila fra i 15-34enni). L’aumento dell’occupazione nelle classi di età più adulte può essere ricondotta ai requisiti sempre più stringenti per accedere alla pensione, che spostano in avanti il momento di uscita dal mercato del lavoro”.
“Considerando la posizione professionale – prosegue l’Istat –, la diminuzione degli occupati riguarda sia i lavoratori dipendenti (-27.000 unità) sia, soprattutto, gli indipendenti (-42.000). A livello di settore di attività economica, l’agricoltura registra una lieve flessione (-0,2%) mentre risulta decisamente più sostenuta la contrazione nell’industria in senso stretto (-1,8%, pari a -83.000 unità) e nelle costruzioni (-5% pari a -93.000 unità). Nei servizi prosegue l’incremento dell’occupazione (+0,7%, pari a 109.000 unità in più) sostenuto esclusivamente dalla componente femminile (+135.000, a fronte di -27.000 tra i maschi), dal lavoro a termine (+65.000) e soprattutto dal lavoro a tempo parziale (+314.000)”. Sempre nel 2012, infine, aumenta in misura sostenuta (qui si cela il dato drammatico) il numero di persone in cerca di occupazione (+30,2%, 636.000 persone in più), mentre i disoccupati raggiungono quota 2.744.000: il livello più elevato dal 1977.

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