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La libertà di stampa dopo il caso Snowden

L'Italia recupera nove posizioni, dice Reporters sans frontières
di Mirko Spadoni

edward_snowdenUn bel balzo in avanti. In un solo anno, l’Italia ha guadagnato infatti ben nove posizioni nella graduatoria di Reporter senza frontiere, che classifica i Paesi – in ordine decrescente – in base al grado di libertà di stampa. “L’unico sviluppo positivo” nell’Europa meridionale “si registra in Italia (ora 49esima, ndr), finalmente uscita da una spirale negativa e che sta preparando una legge incoraggiante per depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa”. Un passo fondamentale e “incoraggiante”, forse però obbligato. Nel settembre scorso, una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata ad esprimersi nel caso che vedeva coinvolto Maurizio Belpietro (condannato a quattro anni dalla Corte d’Appello di Milano) e i magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte, aveva – dando ragione al direttore di Libero – stabilito che condannare un giornalista alla prigione è una violazione della libertà d’espressione, garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Tornando alla classifica di Reporter senza frontiere, i giornalisti godono di maggiori libertà nei Paesi dell’Europa settentrionale come Finlandia, Olanda, Norvegia e Lussemburgo, che occupano le prime quattro posizioni. Perdono qualche posto in graduatoria Francia e Regno Unito, rispettivamente al 39esimo posto (lo scorso anno era al 37esimo) e al 33esimo, ovvero tre posizioni in meno rispetto all’ultima rilevazione. Ma quali sono le colpe di Londra? Reporter senza frontiere non ha dubbi: “Aver detenuto per nove ore David Miranda, compagno e assistente di Glenn Greenwald (la giornalista del Guardian che diede il via al caso Datagate, ndr) e per le pressioni vergognose sul Guardian”. Ma lo scandalo nato dalle rilevazioni di Edward Snowden, analista della National Security Agency, ha avuto forti ripercussioni anche sul Paese maggiormente coinvolto: gli Stati Uniti, che passano dal 32esimo al 46esimo gradino. Anche in questo specifico caso ‘le colpe’ sono evidenti: “i crescenti sforzi per rintracciare gli informatori e le fonti dei giornalisti” così come “il processo e la condanna di Bradley Manning (condannato a 35 anni dalla Corte marziale per aver passato documenti militari e diplomatici a Wikileaks, ndr) e il perseguimento di Edward Snowden”. Ancora molto indietro, anche se stabile rispetto allo scorso anno, la Russia (148esima). La Cina è 175esima. Occupano gli ultimi tre gradini di questa speciale graduatoria: Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea. Desta – inevitabilmente – grandi preoccupazioni la Siria, in quartultima posizione e dove dall’inizio della guerra civile nel marzo del 2011 hanno perso la vita oltre 130 giornalisti e operatori dell’informazione. Un dato significativo, se si tiene conto che secondo il Press Freedom Barometer 2013 di Rsf, i giornalisti uccisi in tutto il mondo sono stati 75, un numero elevato però in calo rispetto al 2012 (88). Mentre dall’inizio del 2014 ad oggi (12 febbraio), Reporter senza frontiere riferisce che soltanto un giornalista è stato ucciso, mentre 177 sono detenuti.
Quindi resta ancora molto da fare per garantire a tutti un diritto inalienabile: la libertà d’espressione. Perché come ricordava l’alto rappresentante Ue, Catherine Ashton, intervenendo in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa nel maggio scorso: “Una stampa libera, indipendente e dinamica è indispensabile in ogni società democratica”. “L’Unione europea – proseguiva – è fermamente intenzionata a lottare per la libertà di stampa e condanna il crescente ricorso all’intimidazione, alla violenza e alla censura cui i giornalisti sono confrontati in numerosi paesi. L’Unione europea – concludeva Ashton – fa appello a tutti i governi affinché consentano ai giornalisti di lavorare in condizioni di sicurezza, senza temere la censura o i procedimenti penali”. Sulla stessa linea, anche Dunja Mijatović rappresentate per la libertà dei media dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse): “In molti Paesi dell’Ocse i problemi di limitazione della libertà di stampa sono addirittura negati”. “Molti leader dicono: nel mio Paese questo problema non c’è, e i fatti dicono che non è così”, proseguiva. “I governi – concludeva Mijatović – devono dimostrare che sono impegnati concretamente a difendere la democrazia nel modo più semplice: lasciando i media liberi di fare il loro lavoro”. Le possibilità di esprimersi senza costrizioni – o condizionamenti – sono superiori laddove vengono riconosciute maggiori libertà. Secondo il Freedom in the World 2013 di Freedom House, sono 90 i Paesi che vengono cosiddetti “liberi” (tra questi vi è l’Italia), dove risiede il 43% della popolazione mondiale. Quelli “parzialmente liberi” sono invece 58, mentre 47 sono considerati “non liberi” e dove vive il 34% della popolazione mondiale. Anche se, come fa notare Freedom House, “oltre la metà vive in un solo Paese: la Cina”.

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