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Giappone: gli effetti dell’Abenomics

di Mirko Spadoni

Shinzo AbeNon tutto sta andando secondo i piani. La politica economica varata dal premier giapponese Shinzō Abe, l’Abenomics, sta avendo – solo in parte – gli effetti sperati. Nel corso dell’intero 2013, il Pil nipponico è cresciuto dell’1,6%, una performance inferiore a quella statunitense (+1,9%), ma comunque migliore di quella dell’Eurozona (+0,4%). I dati, che destano qualche apprensione, sono però altri: nel trimestre ottobre-dicembre del 2013, il Prodotto interno lordo giapponese è cresciuto dello 0,3% sul trimestre precedente. Quindi al di sotto delle attese degli analisti, che prevedevano un +0,7%. Deludenti in particolare i consumi privati cresciuti soltanto dello 0,5% su base trimestrale. Per quanto riguarda la produzione industriale, a dicembre è stata registrata una crescita dello 0,9% rispetto al mese precedente, mentre il progresso su base annua è stato del 7,1% contro il 7,3% stimato.
In cosa consiste e quale è l’obiettivo dell’Abenomics è abbastanza chiaro: far uscire il Giappone “dallo stallo in cui ha vissuto per decenni”. Come? Attraverso le “tre frecce”, ha spiegato in più occasioni lo stesso Abe. Ovvero attraverso tre mosse: grandi interventi di “easing” da parte della Bank of Japan (BoJ), che dovrebbe comprare titoli di Stato (il cui ammontare nel portafoglio della banca centrale non sarà più contenuto entro il volume delle banconote di circolazione) e altre obbligazioni in maniera massiccia e mettere in atto una politica monetaria ultra-espansiva (il 4 aprile scorso ha lanciato un piano di aumento della base monetaria di 1.400 miliardi di dollari in due anni, per arrivare così dagli attuali 1.430 miliardi di dollari ai futuri 2.860 miliardi di dollari ovvero 270.000 miliardi di yen. Il motivo: rilanciare l’inflazione con obiettivo del 2%), infine stimoli fiscali e riforme strutturali. Per inciso: le ultime due “frecce” devono essere ancora ‘scoccate’, mentre solo qualche settimana fa i dati ufficiali giapponesi hanno certificato l’aumento a dicembre su base annua dell’1,3% dell’inflazione core, ovvero quella calcolata senza tener conto dei prezzi soggetti a una variazione maggiore come gli alimentari freschi, ma includendo l’energia. Mentre quella core core, che esclude entrambe le categorie, è aumentata dello 0,7%. Un buon risultato per Tokyo, intenzionata a contrastare una deflazione che si trascina da decenni. E’ diminuito anche il tasso di disoccupazione, che a dicembre è sceso al 3,7% dal 4,0% (le stime si fermavano al 3,9%).
C’è però anche qualche nota dolente. Desta infatti qualche apprensione di troppo la crescita delle importazioni: il cui valore è salito del 15% al record di 81.260 miliardi di yen (+17,5% per il gas e +16,3% per il greggio). Ad esempio, nonostante la svalutazione dello yen sull’euro del 27% nel 2013, l’export italiano verso il Giappone è aumentato del 21,8% in yen (e più dell’8% in termini reali), generando un saldo attivo superiore a quattro miliardi di euro, nonostante anche l’import dal Paese asiatico sia a sua volta aumentato del 9,3%. Inoltre e nonostante il forte indebolimento dello yen non crescono come avrebbero dovuto – sempre secondo le stime degli analisti di Tokyo – le esportazioni.
Ci sono quindi dati senza dubbio in parte positivi e che inducono a rosee previsioni: nel corso di un’intervista rilasciata al Financial Times sul finire di dicembre, il vicedirettore del Fondo Monetario Internazionale, David Lipton, ha ammesso: “Penso che (le politiche economiche giapponesi, ndr) abbiano colpito il bersaglio”, spiegando che con molta probabilità anche l’Fmi “rivedrà le sue stime di crescita per il Giappone nel 2014, che al momento sono all’1,2% mentre quelle del governo giapponese sono al 1,4%”. Nel corso di quest’anno, ricordiamo, l’economia globale dovrebbe crescere del 3,6%, secondo l’Fmi. Nel corso del suo intervento, Lipton ha voluto però ricordare le altre “due frecce” (stimoli fiscali e riforme strutturali) devono essere ancora ‘scoccate’. Un aspetto da non trascurare, soprattutto se si tiene conto delle resistenze che Tokyo potrebbe incontrare nell’attuare le riforme strutturarli promesse.
Ma le sfide per il Giappone non finiscono qui: il governo nipponico deve infatti ancora trovare il modo di diminuire l’enorme debito pubblico, che nel mese di agosto ha raggiunto la cifra simbolica di un biliardo di yen (1.000.000.000.000.000) ovvero circa di 7.700 miliardi di euro.

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