I giovani disoccupati nel mondo
La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il dato allarmante del 42,4%. A sottolinearlo è l’Ilo (l’International Labour Organization) nel suo Rapporto sulle tendenze globali dell’occupazione giovanile 2014. Il tasso di disoccupazione giovanile nell’Unione europea a 28 è notevolmente più basso: i dati più recenti riferiscono che avrebbe raggiunto quota 23,4%. Nel nostro Paese, le situazioni che destano maggiori preoccupazioni si rilevano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Sicilia e in Calabria, dove quasi un giovane su due è senza un impiego.
“In questi 20 anni – osservava qualche giorno fa il presidente del Consiglio Matteo Renzi – si è pensato di creare lavoro per decreto e si è fallito, si è pensato di ridare garanzie a una generazione attraverso il moltiplicarsi di norme e si è fallito nuovamente”. Il risultato è che “oggi la disoccupazione giovanile è – denunciava il premier – a un livello atroce”.
Secondo i dati contenuti nel rapporto dell’Ilo, nel 2013 – e in tutto il mondo – il numero dei disoccupati è cresciuto di 5 milioni di unità, toccando così quota 202 milioni. Sono invece 74,5 milioni (poco più di un milione in più rispetto al 2012) i giovani al di sotto dei 25 anni di età senza un impiego. Il tasso di disoccupazione giovanile ha così raggiunto il 13,1% ovvero quasi il doppio rispetto a quello degli adulti, che si attesta al 6%.
Il tasso di attività globale della forza lavoro giovanile ha toccato il 47,4% nel 2013, rimanendo ben oltre 2 punti percentuali al di sotto dei livelli precedenti alla crisi economica. Stando a quanto riferito dall’Eurostat, i giovani disoccupati e quelli scoraggiati (ovvero i cosiddetti Neet, ossia tutti quei ragazzi che non hanno un’occupazione, non studiano e non sono in formazione), nel 2011 erano – nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni – ben 7,5 milioni, mentre – nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni – erano 6,5 milioni. Comprensibile quindi l’allarme lanciato da chi ha condotto il rapporto, secondo cui se – da qui a breve – non si metteranno in atto riforme strutturarli adeguate si rischia di escludere dal mondo del lavoro un’intera generazione.