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Calcio, business e stadi di proprietà

di Fabio Germani

Una simulazione del futuro stadio della RomaCon la presentazione avvenuta in Campidoglio nella mattinata di mercoledì 26 marzo, il nuovo stadio della Roma è destinato a diventare un asset portante della società giallorossa. Per quanto costi e tempistiche dell’impianto – nonostante i chiarimenti a grandi linee dal presidente della Roma, James Pallotta, e del sindaco della Capitale, Ignazio Marino – restino dei punti interrogativi, il passo è significativo per il futuro del calcio italiano. Il nostro Paese, infatti, è indietro, riguardo un modello di business che si basi sulle strutture di proprietà e sul giro d’affari che ruota intorno all’investimento. I punti di riferimento sono al solito Inghilterra e Germania, ma anche Spagna e Francia risultano un pezzo avanti. A dirlo sono i numeri che da noi registrano innanzi tutto un calo notevole di spettatori negli stadi (la Lega Calcio ha accertato un lieve incremento quest’anno, ma in generale il trend è negativo) e di ricavi per le società che sono il 15-20% del totale mentre si punta soprattutto sui diritti televisivi. Agganciare il treno della ripresa economica e sportiva – il calcio è il segmento che traina l’intero settore, che si attesta all’1,6% del Pil – è un’opportunità da non sottovalutare per tornare a competere con i grandi club d’Europa, magnati arabi permettendo. Il calcio europeo del resto, così come osservato dalla Deloitte che ogni anno si premura di misurarne lo stato di salute, continua a crescere in termini di ricavi a ritmi superiori rispetto agli altri settori dell’economia, raggiungendo i 19,4 miliardi di euro (+11%) nella stagione 2011/2012.

Le lacune normative e l’attuale legge
Le resistenze italiane al tema “stadi di proprietà” sono dipese anche dalle lacune normative, per cui permessi e adempimenti burocratici andavano concordati con le amministrazioni comunali e il Coni in estenuanti trattative spesso poco fruttuose. Oggi un testo c’è ed è quello contenuto nella legge di Stabilità del governo Letta, che a molti però non è piaciuto. In sostanza chi intende proporre un progetto volto alla realizzazione di un nuovo impianto sportivo dovrà presentare al Comune interessato lo studio di fattibilità che dovrà contemplare infrastrutture legate all’attività. Non opere di edilizia residenziale, quindi, con il timore – secondo i molti dubbiosi – che i costruttori possano inibirsi dinanzi ai vincoli speculativi. Ad ogni modo il Comune si riserva un lasso di tempo per rispondere, dopodiché la palla passa alla Regione. Restando al caso della presentazione in Campidoglio di mercoledì, è stato l’assessore all’Urbanistica di Roma Capitale, Giovanni Caudo, a precisare: “Da quando ci verrà presentato lo studio di fattibilità, noi del Comune avremo 90 giorni per dire sì o no. Poi toccherà alla Regione, che di giorni ne avrà 180”. Il nuovo stadio della Roma (finanziato da privati e di proprietà della stessa società giallorossa) sorgerà nella zona di Tor Di Valle, in un’area in cui a detta del sindaco Marino non verrà occupato ulteriore terreno agricolo, e vedrà la partecipazione di sponsor importanti quali Nike, Disney oltre che la partnership della banca di investimenti Goldman Sachs. Si tratterebbe – il condizionale è ancora d’obbligo, a scanso di equivoci – di un’opera i cui costi previsti sono di 300 milioni di euro per il solo impianto sportivo (che sarà di 52 mila posti, estendibile a 60 mila) e di 700 milioni per le restanti infrastrutture. Più il coinvolgimento del Comune per una serie di interventi urbanistici relativi a collegamenti e trasporto pubblico.

Club più ricchi?
Costruire uno stadio porta automaticamente ricchezza ai club? La risposta scontata sarebbe sì. Il Real Madrid, su tutti, fa pensare al meglio. In realtà molto dipende dalla strategia e dall’organizzazione. Di sicuro porta lavoro, tra merchandising, musei dello sport, negozi, ristorazione. Ma tutto è legato (anche) ai prezzi dei biglietti. E qui i modelli si diversificano. Il Bayern Monaco adotta prezzi più popolari rispetto alle rivali inglesi, forte dell’Allianz Arena che può arrivare a contenere fino a 70 mila spettatori. I tifosi delle principali squadre britanniche con stadi di proprietà, invece, hanno visto negli anni aumentare i costi degli abbonamenti di molte sterline. In Italia c’è un unico caso di scuola, quello dello Juventus Stadium, eretto sulle ceneri del vecchio Delle Alpi. La società bianconera ha raggiunto nella stagione 2013/2014 quota 28 mila abbonamenti per un incasso pari a circa 20 milioni di euro. L’impianto è stato adottato nel 2011 e dal secondo al primo anno l’incremento dei prezzi dei biglietti è stato del 30%, garantendo però un rialzo dell’11% nella vendita delle tessere stagionali.

Televisioni vs. stadi di proprietà
Ancora la Deloitte ci informa che il grosso del fatturato generato dalla Serie A nella stagione 2011/2012 (1,57 miliardi di euro) deriva in particolare dai diritti televisivi (932 milioni di euro). Luogo comune vorrebbe le televisioni nemiche giurate degli stadi di proprietà, ma Real Madrid e Barcellona dimostrano che non vi è alcuna correlazione e che in termini numerici le due possibilità di fruizione dell’evento sportivo non si annullano. Nel complesso la Liga spagnola non regge il confronto con la Premier League sul fronte degli incassi da diritti televisivi, nonostante le prime due posizioni siano occupate proprio da Real Madrid e Barcellona, rispettivamente a 178 e 175 milioni (dati TV Sports Markets). La verità è che nessuna televisione avrebbe interesse a trasmettere una partita in uno stadio semivuoto: la ripresa di una curva gremita che esplode al gol dei propri beniamini mantiene sempre il suo fascino.

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1 Commento per “Calcio, business e stadi di proprietà”

  1. […] cuore utilizzando la pay per view”, secondo l’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes) e l’assenza di impianti moderni e accoglienti (la cui “età media – sottolinea la stessa Figc – è addirittura di 64 anni, considerando […]

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