La delicata situazione in Ucraina/8
La promessa è del ministro dell’Interno di Kiev, Arsen Avakov: la crisi, scatenata dai manifestanti filo-russi nell’est dell’Ucraina, sarà risolta “entro 48 ore”. “Ci sono – ha proseguito, rivolgendosi al Paese – due opzioni, l’opzione politica con negoziati e l’uso della forza. Proponiamo negoziati e una soluzione politica a chi vuole il dialogo. Mentre – ha concluso con fermezza – a chi vuole il conflitto risponderemo con la forza”. Una fermezza necessaria per mantenere – anzi: ristabilire l’ordine perduto – e che già nei giorni scorsi Kiev non aveva esitato a mostrare: i “separatisti” che “imbracciano le armi e che assaltano i palazzi saranno trattati come prevedono la Costituzione e le leggi, come terroristi e criminali”, aveva annunciato il presidente ad interim Oleksandr Turchynov, intervenendo in Parlamento.
Il rischio che quanto accaduto in Crimea si ripeta anche nel resto del Paese, dove vive una buona parte di cittadini russofoni, è concreto e le premesse ci sono tutte: a Donetsk, ad esempio, nei giorni scorsi i manifestanti filorussi hanno prima occupato il principale edificio dell’amministrazione regionale e successivamente quello dei servizi segreti, proclamato la creazione di una “Repubblica popolare” indipendente e annunciato un referendum che si sarebbe dovuto tenere entro l’11 maggio per sancire la secessione da Kiev. Sedi governative sono state occupate anche a Kharkiv (dove è stata proclamata la nascita della “Repubblica indipendente”) e Luhansk. La preoccupazione a Kiev e dintorni resta però ancora molto alta e il timore maggiore è che le manifestazioni degli ultimi giorni siano orchestrate direttamente dal Cremlino.
Le (presunte) responsabilità di Mosca
Durissime sono infatti le accuse del premier ad interim Arseni Yatseniuk (“La Russia ci vuole smembrare”), del ministro dell’Interno, Arsen Avakov (“Putin e Yanukovich hanno ordinato e pagato l’ultima ondata di disordine separatista nell’est del Paese”) e del portavoce della Casa Bianca, Jay Carney (“Ci sono le prove che i manifestanti sono stati pagati dalla Russia”).
E così a nulla valgono le rassicurazioni provenienti dal Cremlino: “Gli Stati Uniti e la stessa Ucraina – si legge in un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca – non hanno motivo di preoccuparsi”. “La Russia – si legge ancora nella nota – ha affermato in numerose occasioni che non sta svolgendo alcuna attività insolita o imprevista sul suo territorio, vicino al confine ucraino, di un qualche rilievo sotto il profilo militare”.
Sempre più freddi i rapporti tra Nato e la Russia
Indipendentemente dal coinvolgimento (reale o presunto) di Mosca nelle dimostrazioni dei manifestanti filo-russi, la Nato ha comunque comunicato – sulla scia delle decisioni prese negli ultimi giorni come la sospensione “degli aspetti pratici della cooperazione” – che d’ora in poi gli ufficiali russi, che vorranno accedere ai quartier generali dell’Alleanza Atlantica, sono sottoposti a delle restrizioni. Il provvedimento non riguarda però né l’ambasciatore, né il capo della missione e i due membri dello staff.
Dove è l’Ucraina?
Meno dura la posizione degli Stati Uniti, che nonostante le sanzioni economiche e le accuse, cercano ancora una soluzione diplomatica alla crisi. Una scelta, quella dell’amministrazione Obama, che sembra trovare il consenso dei cittadini americani. Secondo uno studio riportato dal Washington Post, solo il 13% degli americani è favorevole all’uso della forza, mentre il 45% sostiene la necessità di boicottare il vertice del G8 in programma a Sochi. Ma l’aspetto più interessante della rilevazione è un altro: la maggior parte degli intervistati ha dimostrato di non conoscere la reale collocazione dell’Ucraina: soltanto il 16% degli americani sa indicare correttamente la posizione dell’ex Paese sovietico. “Questi risultati – commentava il quotidiano statunitense – sono chiari, ma allo stesso tempo sconcertanti: le persone che non sanno dove sia l’Ucraina, sono quelle che maggiormente chiedono un intervento militare statunitense”.
Yanukovich: “La Crimea alla Russia? Un errore”
Vitkor Yanukovich cambia idea. Parlando all’Associated Press, l’ex presidente ucraino si è detto d’accordo con chi lo ha deposto. “L’annessione della Crimea alla Russia è una tragedia. Mi sono sbagliato, ho agito sulla base delle mie emozioni”, ha commentato. “Dobbiamo – ha proseguito – trovare i modi per far sì che la Crimea possa avere il massimo livello di indipendenza possibile, ma essere parte dell’Ucraina”. Nel corso dell’intervista, Yanukovich ha comunque ribadito di sentirsi ancora il legittimo presidente dell’Ucraina, facendo così intendere di non riconoscere come legittime le elezioni in programma per il 25 maggio prossimo e nel corso delle quali i suoi connazionali sceglieranno il suo successore.
Le elezioni presidenziali ucraine
Mentre le elaborazioni di quattro istituti di ricerca ucraini (Centre for social ad marketing research “Socis”, Razumkov centre, Sociological group “Rating” e Kiev international institute of sociology) danno per favorito alla vittoria finale Petro Poroshenko, il partito delle Regioni – la forza politica dell’ormai deposto presidente Viktor Yanukovich – ha prima espulso l’oligarca Serghii Tighipko (colpevole di essere candidato alla presidenza da indipendente) e poi scelto il proprio candidato ufficiale: Mikhail Dobkin. Già governatore della regione Kharkiv, Dobkin fu arrestato nei primi giorni di marzo. L’accusa: aver tentato di violare l’integrità territoriale del Paese, rifiutandosi di riconoscere la legittimità del nuovo corso ucraino. Alla corsa per la carica di presidente non potrà partecipare Darth Vader, candidato del Partito ucraino di Internet (UIP). Dopo aver riscontrato delle irregolarità nei dati comunicati dal partito, il Comitato elettorale centrale ha infatti respinto la sua domanda di candidatura. Una decisione accompagnata poi da quella presa dal ministero dell’Interno, che ha aperto un procedimento penale per falsificazione dei dati. Laconico il commento di Igor Zhydenko, membro della Commissione elettorale centrale: “Evidentemente qualcuno voleva trasformare le elezioni presidenziali in una farsa”. Un lusso che nessuno può permettersi.
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