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Grecia: una rinascita solo finanziaria

di Giampiero Francesca

antonis_samarasDopo quattro anni di assenza dai mercati, la Grecia si è riaffacciata ieri sulla principale piazza finanziaria mondiale collocando 3,5 miliardi di euro di bond quinquennali. Una notizia accolta con sorpresa e soddisfazione da molti commentatori che, con una certa superficialità, hanno approfittato di questo successo per acclamare la rinascita della penisola ellenica. Un’affermazione probabilmente prematura. Le ragioni che hanno portato gli investitori ad accaparrarsi i titoli di Atene non risiedono, infatti, tanto nella ripresa del paese guidato da Antonis Samaras, quanto piuttosto nell’opportunità offerta da titoli molto vantaggiosi. Dal 2010 ad oggi i bond della Grecia erano stati considerati sostanzialmente “intoccabili”, come descritto da Ben Edwards, Neelabh Chaturvedi e Alkman Graniysas sul Wall Street Journal. Nessuno, neanche i più azzardati investitori, poteva infatti permettersi di puntare su titoli che, nel 2012, avevano raggiunto un rendimento del 30% e uno spread con i Bund tedeschi di ben 3219 punti base. Da allora, anche grazie alle politiche di austerità e all’intervento diretto dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, la situazione è radicalmente cambiata. Durante l’asta guidata da JPMorgan e Deutsche Bank, i titoli quinquennali sono stati collocati con un tasso del 4,5%, quasi un punto al di sotto della soglia del 5/5,25% previsto alla vigilia, ottenendo un risultato migliore di quanto auspicato. L’emissione ha così incontrato l’interesse di investitori americani, asiatici ed europei superando di 500 milioni le stime attese. Una circostanza non troppo diversa da quanto già accaduto con i titoli portoghesi ed irlandesi. Nell’attuale congiuntura, ad esempio, i bond di Lisbona, il cui rendimento si attesta intorno al 3,9%, risultano molto più appetibili degli stessi Bund tedeschi, che garantiscono un minimo 1,6%. Così, dopo anni da paria, le economie dei paesi in crisi tornano a dire la loro nei mercati internazionali. Ma quale effetto ha questa ripresa finanziaria sull’economia reale? E quanto costano, invece, le ricette per ottenerla nelle vite dei cittadini?

Economia finanziaria vs. economia reale
Come ricorda Jacob Funk Kirkegaard, analista presso il Peterson Institute for International Economics a Washington, “non ci sono dubbi che l’austerity abbia portato dei benefici ai mercati finanziari. In questo senso la politica di austerità richiesta dai creditori della Grecia ha salvato il paese da una situazione ben peggiore anche se non ha permesso di mantenere gli standard di qualità della vita precedenti”. Se infatti sembrano risalire le quotazioni economiche del paese lo stesso non può dirsi per le vite dei suoi cittadini. Sempre di questi giorni sono, infatti, le immagini delle vibranti proteste per le strade della capitale greca i cui slogan contro i tagli fanno da controcanto alle parole di giubilo del governo. Diametralmente opposte al giudizio di Kirkegaard sono infatti le parole dei responsabili del G.S.E.E., uno dei sindacati ellenici, che si battono contro “una politica che è un vicolo cieco; un vicolo cieco che ha schiacciato i lavoratori e ridotto il popolo greco in miseria”. Come premesso la fiducia degli investitori non risiede nella reale capacità di ripresa della Grecia. Secondo l’FMI il PIL di Atene dovrebbe raggiungere, nel 2014, il notevole traguardo di un +2,9%, segnando un progresso superiore a molti altri stati europei (compresa l’Italia). Un dato che non può essere però considerato completamente significativo. Dal 2008 ad oggi, infatti, la Grecia ha lasciato sul terreno più di un quarto del suo PIL e, secondo le stime del New York Times, sarebbe necessaria una crescita media del 5% nei prossimi dieci anni solo per pareggiare questa regressione. A questo quadro, già di per sé non esaltante, va aggiunto un tasso di disoccupazione altissimo (27,5%), un mercato del lavoro stagnante, una domanda interna in affanno e un saldo delle esportazioni che continua a calare (-0,2% nel 2013). L’asta di bond di ieri segna dunque l’ennesima evidente differenza di passo fra un’economia finanziaria che, sembra, un po’ ovunque ripartire ed un’economia reale che, al contrario, soffre ancora dell’onda lunga di una crisi lontana da una fine.

 

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